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L’Ottocento, oggi

L’influenza cattolica, il capitalismo, la borghesia e il business dell’autorialità: Giovanni Truppi è il cantautore che scrive di poesia e civiltà.

di Valentina Ecca

Si è costruito un pianoforte da solo, lo ha rimpicciolito e assemblato per renderlo più trasportabile in tour e ci ha aggiunto dei pick-up per amplificarlo: Giovanni Truppi è un artigiano della musica. Le sue doti da Mastro Geppetto risuonano anche nell’ultimo disco Poesia e civiltà in cui Truppi ha cambiato scrittura cercando un approccio più classico e più complesso, lontano dal dilagante itpop.

Dal disco è stato tratto l’ep 5 – in uscita il 31 gennaio 2020 – con quattro duetti cantati con Brunori Sas, Niccolò Fabi, Veronica Lucchesi, Calcutta e un pezzo inedito. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare di come la religione influenzi la sua musica, del perché abbia scelto un uomo per duettare su una canzone d’amore – Niccolò Fabi, ndr – e del capitalismo che, a suo dire, è sempre un male.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
Al mondo della musica mi sono avvicinato suonando il pianoforte, ne avevamo uno vecchio verticale a casa e ho iniziato da bambino. Poi quando sono andato al liceo ho iniziato a strimpellare la chitarra, avevo un amico che aveva una band e mi era sembrata una cosa fantastica e l’ho voluta fare anche io, abbiamo iniziato a fare cover.

 

Ho realizzato quasi subito che volevo scrivere cose mie.

 

La tua famiglia era d’accordo con la scelta di fare il musicista?
Erano molto spaventati, perché ovviamente è una strada molto difficile senza garanzie di tipo economico, all’inizio hanno cercato di dissuadermi un pochino… Ma mi hanno anche molto sostenuto.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Sei stato premiato dal MEI – Meeting degli Indipendenti, ndr – come miglior artista indipendente nel 2019: “Per la sua capacità di rinnovare la canzone d’autore”. Ma cos’è oggi la canzona d’autore e cosa è cambiato dal passato?
Se ho capito bene l’autorialità è quando una cosa non è fatta solamente ai fini commerciali, forse, è quando si prova con una qualsiasi forma espressiva a cercare di fare arte. Quindi quando lo si fa nella canzone: la canzone è d’autore.

Secondo te il movimento della trap e dell’itpop segue questa logica o si tratta di voler fare i soldi?
Non per forza le due cose vanno in contraddizione. C’è un aneddoto sui Beatles che mi diverte molto: nelle sessioni di scrittura di Paul McCartney e John Lennon si mettevano con la chitarra in mano e dicevano: “Vabbè che ci vogliamo comprare? Una piscina?” Si mettevano a scrivere e uscivano dei capolavori.

 

Il concetto dell’autorialità è molto difficile da definire e mi sembra che faccia parte di una serie di vasi comunicanti dove vicino ci sono altri vasi, uno di quelli più vicino è quello del business.

 

Io preferisco vedere se una cosa mi piace o no, al di là dei generi perché c’è della musica trap o urban che mi piace e che mi diverte. Al di là dei contenuti: che ho l’impressione possano essere un po’ ripetitivi, c’è una roba che loro fanno sull’italiano che secondo me è super interessante e paradossalmente fanno del virtuosismo e della sperimentazione con l’italiano che magari i cantautori fanno di meno.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Poesia e civiltà: mi racconti questo titolo?
Mi è venuto lavorandoci: mentre ero lì mi sono venute fuori queste due parole che per me sintetizzano tutto quello a cui ho cercato di tendere lavorando a questo disco e costruendo il mondo narrativo, musicale e testuale che lo compone. 

Hai detto che ti sei concentrato su una scrittura più classica e meno spigolosa rispetto ai dischi precedenti. Che lavoro c’è dietro la modifica di una cosa così intima e profondamente radicata come la scrittura?
Bè non è la prima volta che lo faccio, ho iniziato con un certo tipo di scrittura, poi credo di averla fortemente messa in discussione passando alla scrittura del mio secondo e terzo disco e poi di aver fatto questo disco qua.

 

Dipende un po’ da quello che sento di dover comunicare. Ci sono tanti artisti che attraversano delle fasi: mi vengono in mente degli artisti visivi in cui la loro cifra stilistica a un certo punto cambia. Non faccio nomi e non mi paragono a loro perché mi sembrerebbe di bestemmiare.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Come nasce l’idea dell’ep 5 e delle collaborazioni all’interno?
Sono nate perché questi artisti mi piacciono tanto e un po’ pensavo alle canzoni che avrei voluto reinterpretare: un po’ pensavo agli artisti che avrei voluto coinvolgere, un po’ ci sono stati degli incontri occasionali meno sporadici con alcuni di loro negli ultimi mesi e delle affinità che sono emerse in questo ultimo mio periodo di vita. È un insieme di varie cose.

In Conoscersi in una situazione di difficoltà duetti con Niccolò Fabi: in precedenza avevi suonato il pezzo con Veronica Lucchesi – La rappresentate di lista, ndr – Come mai hai scelto un uomo per interpretare con te una canzone d’amore come questa?
Agli albori di questa idea c’era stato anche il pensiero di farla con Veronica, ma non volevo ripetermi. Mi piaceva molto la versione che avevamo inciso per Rockit ma ho pensato di cambiarla. Avevo molto chiaro, anche dal punto di vista dell’arrangiamento, come sarebbe potuta essere con Niccolò.

 

Il fatto di cantarla con un altro uomo credo sia stato un gesto coraggioso più da parte sua che da parte mia, perché io ho sempre giocato con il genere nelle mie canzoni.

 

Non è una cosa che mi sta particolarmente a cuore. In realtà non credo che uno si debba domandare come mai ci sono due maschi che duettano in una canzone d’amore.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Cos’è cambiato nel produrre un disco con una major piuttosto che con un’etichetta indipendente?
Ho avuto delle maggiori risorse a disposizione, questo disco Poesia e civiltà aveva bisogno di risorse. È stata una coincidenza molto felice quella di aver incontrato Virgin: è diventata più grande la cassa di risonanza che ho avuto a disposizione, mi sono anche sentito più responsabile e ho scelto di fare un disco come Poesia e civiltà per questo, perché nel momento in cui avevo a disposizione queste risorse e questo amplificatore mi sono domandato quali fossero le cose più importanti da dire.

Oggi la musica indipendente è più mainstream che mai. Tu che sei in questo circuito da tanto mi racconti com’è cambiata la scena da vent’anni a questa parte?
Credo che un movimento artistico di cui fanno parte artisti, un sacco di addetti ai lavori: radio, case discografiche indipendenti, testate, promoter, booking e tanti altri prima facevano questa cosa per hobby e passione, ma dovendo fare un altro lavoro. In vent’anni di lavoro è arrivata l’attenzione di un pubblico più ampio: questa cosa ha fatto dei numeri, esattamente com’è successo nel mondo del rap. 

Le major hanno aperto gli occhi e ne hanno fiutato il potenziale
Sì: in generale il capitalismo è cattivo, detto questo però o si sceglie di vivere completamente al di fuori del sistema capitalistico oppure boh, potendo mantenere la propria autonomia, non mi sembra così diverso lavorare con le major piuttosto che con le etichette indipendenti. Io mentre lavoravo al disco lo facevo ascoltare al mio referente in Virgin, e gli dicevo: “Ma sei sicuro?”, e lui mi diceva: “Vai, vai”. Mi hanno lasciato molta libertà.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

I tuoi riferimenti cantautorali ho letto che sono De Andrè, Paolo Conte e Battiato. Io però ascoltando i tuoi dischi non riesco a trovare nulla che mi ricordi qualcuno, il che è positivo: sei uno che trae spunto dagli altri quando scrive e compone?
Menomale…

 

Io sono pigro, non ascolto tantissima musica o almeno non quanto credo di doverne ascoltare.

 

Ci sono stati dei periodi in cui ne ho ascoltata tanta, per esempio quando ho studiato jazz mi sono molto concentrato su quel tipo di scrittura: le canzoni americane dell’inizio del Novecento. Cerco di mantenermi aperto e di farmi influenzare, poi allo stesso tempo mi domando costantemente chi sono e di volta in volta quello che voglio costruire e raccontare e se c’è uno specifico mio.

 

All’inizio del mio percorso provavo molto a dire ‘come la farebbe questa cosa Max Gazzè o Gino Paoli? E qual è la cosa più tua?’. Lo facevo per distaccarmene.

 

Il mio primo disco mostra chiaramente tutta una serie di influenze, non è stato semplice cercare di andare altrove.

Per quanto riguarda le letture, cosa leggi e chi ti influenza?
Leggo tanto, ma non leggo le poesie. Leggo romanzi e saggi: purtroppo invecchiando leggo di più i saggi perché mi sembra di dover imparare tante cose che mi mancano.

 

I romanzi sono stati un amore gigante, maggiore della musica, perché sono i miei primi amori.

 

Mentre lavoravo a Poesia e civiltà l’autore più importante per me è stato Jack London. 

 

In che modo ti ha influenzato Jack London?
Nell’idealismo.

 

Ho letto Rivoluzione, che è una raccolta di suoi saggi e Il popolo degli abissi. Credo che in questo disco – Poesia e civiltà – c’è un che di ottocentesco. Il testo di Ancient Society è tratto dall’omonimo libro del 1877 di Lewis H. Morgan.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Nel disco del 2015 c’è un pezzo intitolato Eva, in questo Adamo. Sei molto legato alla cultura cattolica, da dove viene?
Totalmente, ci sono influenzato anche musicalmente. Io ho avuto una formazione cattolica e ho frequentato la parrocchia e suonavo l’organo in chiesa. Si sente anche nelle mie canzoni, ci sono alcuni canti della messa che mi hanno molto influenzato: ho scoperto che lo ha detto anche Brian Eno di sé. 

Ma ti ha influenzato positivamente o negativamente?
Non mi ritengo all’interno del cattolicesimo, se non per cultura, perché sono italiano e ho avuto un certo tipo di formazione, quindi: per esempio il senso di colpa me lo porterò anche quando la Chiesa non esisterà più, almeno per un po’.

 

Per me però il cattolicesimo è stato anche introspezione, ho avuto la fortuna di fare un percorso interessante all’interno del cattolicesimo finché ci sono stato: ho incontrato delle persone che mi hanno stimolato a farmi delle domande e a fare delle riflessioni.

 

Mi è rimasta una porta aperta sulla sacralità e sulla trascendenza, l’arte ti aiuta in questo però la cultura nella quale sono cresciuto ha influito: attingo da lì. 

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Siamo alle porte di Sanremo, tu perché non hai mai partecipato?
Non è stata una mia scelta, nel senso che non ho mai proposto delle mie canzoni. Non credo che il mio repertorio sia molto adatto a quel contesto. Detto questo se mi chiamasse qualcuno e mi dicesse che un mio brano potrebbe essere adatta a Sanremo ci penserei seriamente. 

Ci andresti?
Ci penserei seriamente. Non ne sono sicuro.

 

Penso che Sanremo sia rischioso e poi la maggior parte degli artisti che amo o che ho amato non c’è andata, forse vuol dire qualcosa.

 

Sei un napoletano trapiantato a Roma, due città piene di contraddizioni e problemi irrisolvibili. Il territorio entra nella tua musica?
Moltissimo, ho lasciato Roma da qualche mese e sono molto preoccupato perché in realtà mi sentivo molto ispirato da Roma, ora sono a Bologna. Ho vissuto per tanti anni nel quartiere di Centocelle con cui ho avuto un rapporto molto bello.

Centocelle è un quartiere molto politicizzato
È stato un quartiere che ho scelto, che ho visto trasformarsi negli anni, io ci ho vissuto quasi dieci anni. Adesso penso ‘mamma mia non sia mai che stando lontano da Roma e da Centocelle perdo l’ispirazione’.

E invece Napoli?

 

Ho un rapporto molto difficile con Napoli, me ne sono andato poco dopo i vent’anni e ancora oggi tocca delle cose di me che io non governo, un po’ come i genitori.

 

Non è semplice, mi manca e sono felice di tornarci ma dopo poco mi innervosisco. Però la musica napoletana fa parte dei miei ascolti ancora prima delle canzoni sacre e io la sento nella mia musica, la amo molto. Napoli ti dà uno sguardo sul mondo molto preciso, io ce l’ho grazie a lei.

 

Giovanni Truppi intervista

Giovanni Truppi © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Tornando ai tuoi brani, Borghesia è ispirato a La scuola cattolica di Albinati, come nasce il pezzo e come mai questo libro – che parte dal racconto del massacro del Circeo – ti ha ispirato?
In realtà la lettura de La scuola cattolica, che è un libro immenso, mi ha dato il via per scrivere quella canzone. Sì hanno delle cose in comune, io in realtà avevo voglia da tanto tempo di parlare di quello di cui parlo in Borghesia – di come l’antipatica borghesia abbia cambiato il mondo, ndr – e leggere quel libro mi ha fatto scattare l’input per mettere tutto insieme e fare quel gesto. 

Se non avessi fatto il cantautore che cosa avresti fatto?
Avrei voluto fare il falegname, pensandoci ora. Credo che però avrei fatto qualcosa legato al mondo delle materie umanistiche, avrei insegnato forse.

Un disco imperdibile da ascoltare?
Sono un grande estimatore di Dargen D’Amico, quindi ti dico il suo ultimo disco.

Ho un’ultima domanda un po’ scema ma devo fartela, come mai suoni sempre in canottiera?
Perché mi sento a mio agio così, cioè sicuramente non mi piace avere più di uno strato sul mio torace quando suono, non potrei proprio, mi dà fastidio. La scelta sarebbe tra la maglietta e la canottiera: c’è stato un periodo in cui mi sono detto ‘basta, sei diventato vecchio non la devi più usare’, poi ho pensato che mi sentivo molto più a mio agio con la canottiera e quindi continuo a mettere solo quella.

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