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Al momento giusto

Barbara Sambuco dirige la Catalent di Anagni: lo stabilimento che stava per chiudere e che, oggi, infiala milioni di dosi per il vaccino contro il Covid.

di Valentina Ecca

La dottoressa Barbara Sambuco è la General Manager della Catalent di Anagni, lo stabilimento in provincia di Frosinone che si sta occupando dell’infialamento del vaccino contro il Covid-19. 

L’abbiamo raggiunta telefonicamente incuriositi dalla particolare storia di questo stabilimento che due anni fa rischiava di chiudere e che invece, oggi, si è tramutato in un polo scientifico di grande importanza strategica per i mesi che verranno. La cosa interessante è che siamo riusciti a non parlare di vaccini (lo fanno già tutti). Barbara Sambuco ci ha parlato di lavoro di squadra, valorizzazione del personale e della vera missione che un manager dovrebbe avere, quella di far crescere le proprie persone: perché il successo, quello vero, ha senso solo se condiviso.

Lei si è laureata in chimica e ha lavorato per diverse aziende farmaceutiche prima di arrivare allo stabilimento Catalent di Anagni. Mi racconta il suo percorso di studi?
Finito il liceo avevo deciso di fare la scuola d’interpreti e traduttori a Roma, ricordo che ero in fila con mio papà per pagare la retta della scuola ed eravamo prossimi alla partenza per un viaggio in Francia. Mentre stavamo in coda guardai mio padre e gli dissi che c’avevo pensato e che, tutto sommato, non era quello che volevo fare. Gli dissi che volevo studiare chimica. Penso di ricordare ancora la faccia di mio padre – ride, ndr -, mi chiese se ero convinta e gli dissi di sì.

 

Perché c’era qualcosa che volevo capire meglio, volevo capire cosa c’era alla base del funzionamento del mondo.

 

Fra l’altro io ho studiato chimica “pura”, non ho fatto chimica applicata alle tecnologie farmaceutiche. I miei sono stati degli studi interessanti, perché la chimica era una materia di nicchia e non avevo nessun tipo di idea di quello che avrei fatto in futuro: ma di base sono così, non ho mai pianificato troppo i passaggi della mia carriera, ho seguito gli interessi.

 

Barbara Sambuco

Barbara Sambuco © Giovanni Cocco / LUZ

 

A proposito del non pianificare lei si è trovata a svolgere un lavoro manageriale e non solo quello del chimico. Come ci si prepara a questo?

 

Diciamo che come fare il manager non te lo insegnano all’università, lì, purtroppo, è pura didattica e nozionismo.

 

Gli aspetti manageriali e di gestione del personale non sono minimamente trattati in percorsi di studio come quello che ho fatto io. Finita l’università ho avuto la possibilità di fare un master finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, sulle biotecnologie, sono poi andata all’estero e tornando in Italia sono entrata nel mondo del lavoro nell’ambito farmaceutico. Un mondo che per me era sconosciuto per cui ho proprio ricominciato da capo, ma queste scelte fanno parte di me: ho studiato al liceo classico, mi sono iscritta ad una facoltà scientifica e oggi mi trovo a dirigere uno stabilimento farmaceutico, diciamo che quello che mi ha sempre mosso è la curiosità e la voglia di mettermi alla prova. 

 

Lo Stabilimento Catalent di Anagni

Lo stabilimento Catalent di Anagni. Il luogo in cui, per conto dell’azienda farmaceutica AstraZeneca e in vista della distribuzione in Europa, si sta eseguendo l’operazione di infialamento-vaccino anti Covid-19 © Giovanni Cocco / LUZ

 

Le professioni in ambito STEM sono spesso dominate dagli uomini. Che consiglio darebbe e delle giovani ragazze che si affacciano al mondo del lavoro nell’ambito scientifico e, magari, patiscono un po’ questo tipo di prevalenza?
Devo essere sincera, mi sono trovata solo una volta durante un colloquio lavorativo in una situazione di evidente pregiudizio, ma in generale non ho mai vissuto, nella mia carriera lavorativa, l’essere donna come un limite. Io ho adottato due ragazze, e nei due mesi in cui sono stata in Colombia per l’adozione mi hanno dato un incarico con un livello più alto. Ricordo che avevo chiesto di poter avere una maggiore tranquillità e invece le parole del mio capo furono: “Tu stai tranquilla, che tanto le cose le riesci a fare ugualmente”.

 

Non ho mai sentito né vissuto discriminazioni da questo punto di vista. Io consiglio di seguire le proprie passioni, noi nello stabilimento facciamo continuamente colloqui a ragazzi e ragazze senza alcun pregiudizio. La chimica è no gender, per così dire.

 

Barbara Sambuco

Barbara Sambuco © Giovanni Cocco / LUZ

 

Il vostro stabilimento aveva subito una brutta sorpresa quando la Bristol Myers Squibb aveva deciso di vendere. Da General Manager lei come ha affrontato questa crisi e come ha gestito la preoccupazione del personale?
Da circa due anni, prima della vendita, io e un numero ridotto di personale del mio staff eravamo stati informati della vendita e così, insieme all’allora direttore delle risorse umane, abbiamo lanciato un’iniziativa. Abbiamo coinvolto un sociologo del lavoro in un progetto che abbiamo chiamato “vocazione”: cioè valorizzazione delle competenze dello stabilimento e delle persone. Per circa un anno abbiamo coinvolto un gruppo di middle manager – le persone chiave all’interno dell’azienda – per parlare, costruire insieme a loro i valori che ci accomunavano e per stilare gli obiettivi che guidavano tutti. Dopodiché abbiamo organizzato due grossi eventi a cui ha partecipato tutto il personale: il primo è stato di gioco, un team di settecento persone si è messo alla prova divertendosi e grazie all’espediente ludico siamo riusciti a raccontare e veicolare i valori che avevamo elaborato in precedenza. Il secondo evento è stato un hackathon interno al quale hanno partecipato circa trecento persone dello stabilimento tra operai, annalisti, ingegneri, ecc.. durante il quale hanno evidenziato quelle che erano le cose che volevano portarsi nella nuova realtà e quelle che volevano lasciare. Tutto questo per dire che non si arriva a questi appuntamenti sprovveduti, c’è stato un grosso lavoro di formazione e quando abbiamo comunicato la vendita dello stabilimento il personale, nonostante fosse profondamente scosso, era pronto ad affrontare la sfida.

 

Questa scelta di comunicazione è stata fondamentale per far capire anche ai capi che quelle persone erano state preparate e dovevano avere un ruolo in quel passaggio, non dovevano essere spostate come merci, dovevano sentirsi parte del passaggio.

 

Senza questo lavoro era impensabile riuscire a vendere uno stabilimento con il supporto delle unioni sindacali, con nessun giorno di sciopero, e con un assenteismo rimasto sotto il 3%. Questo è il lavoro di cui vado fiera.

 

Lo Stabilimento Catalent di Anagni

Lo stabilimento Catalent di Anagni è il luogo in cui, per conto dell’azienda farmaceutica AstraZeneca e in vista della distribuzione in Europa, si sta eseguendo l’operazione di infialamento-vaccino anti Covid-19 © Giovanni Cocco / LUZ

 

La Catalent ha acquistato lo stabilimento prima dell’arrivo della pandemia di Coronavirus e voi eravate pronti. Diciamo che questo disastro mondiale vi ha procurato subito molto lavoro. Come vi state muovendo per gestire al meglio il tutto?
Ci siamo trovati preparati, è un’occasione che ci è capitata e siamo stati in grado di poterla accogliere e renderci utili. Per me è stata la possibilità di dire ai miei colleghi e dipendenti che abbiamo camminato nella direzione giusta, perché lo stabilimento ha delle tecnologie allo stato dell’arte, del personale altamente qualificato su tutto quello che riguarda la produzione di sterili e questa ne è la dimostrazione.

 

Siamo stati scelti per avere un’opportunità unica: quella di fornire una cura per una pandemia mondiale. Stavamo chiudendo e adesso, invece, facciamo la differenza per il resto del mondo.

 

Proviamo tutti un moto di orgoglio enorme. La vendita è come un divorzio, ci sono persone che hanno passato quarant’anni dentro quello stabilimento e per loro è stato proprio come un lutto, c’era un’amarezza profonda ma è arrivato il riscatto che ha dimostrato le capacità del nostro personale e delle nostre tecnologie. Nessuno avrebbe mai rischiato di darci in mano la produzione del vaccino se non fossimo stati così pronti e all’avanguardia.

 

Barbara Sambuco

Barbara Sambuco © Giovanni Cocco / LUZ

 

Quali sono i prossimi passi per lo stabilimento e per il futuro della vaccinazione che ci riguarderà tutti?
Il futuro dipenderà da quello che saranno le modalità di somministrazione e dalla reazione che noi avremo al vaccino. Gli studi clinici in corso non hanno ancora coperto periodi così lunghi da poter capire se la vaccinazione andrà fatta annualmente o magari una tantum. Se sarà annuale immagino che queste produzioni continueranno per un numero di anni necessario a poter eliminare completamente la presenza del virus. Quindi quando si passerà da una fase di pandemia a una fase di regime.

 

È difficile fare delle previsioni, al momento abbiamo contratti fino al 2022, però bisognerà vedere la reazione della popolazione al vaccino e anche le aziende che si sono rivolte a noi stanno aspettando per capire come si evolverà il tutto.

 

Barbara Sambuco

Barbara Sambuco © Giovanni Cocco / LUZ

 

Ho letto che dopo questo grande lavoro d’infialamento lei si sentirà pronta per la pensione. È convita che non ci saranno più sfide grandi come questa da affrontare?
Sì, l’ho detto perché credo che questa sia un’opportunità unica, quella di poter vedere uno stabilimento che a mo’ di fenice risorge dalle sue ceneri. Quando dico che “potrei andare in pensione” intendo dire che credo che difficilmente potrò rivivere un’esperienza così appagante.

 

Il successo non è quello del progetto o del salto finanziario, io ritengo un successo veder crescere le persone e a dar loro modo di esprimere quello che hanno dentro.

 

Le sfide non terminano mai, però penso che questa sarà ineguagliabile.

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