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Questo sono io

Abbiamo incontrato uno dei pionieri dell’itpop italiano: Giuseppe Peveri, in arte Dente.

di Valentina Ecca

Dente è stato uno dei pionieri della scena indipendente italiana. In questi anni di silenzio – l’ultimo disco, Canzoni per metà è del 2016 – si è dedicato a una nuova produzione con estrema umiltà e voglia di rimettersi in gioco attraverso la collaborazione con nuovi produttori e attraverso l’ascolto e la contaminazione di artisti a cui lui – vent’anni fa – ha spianato la strada.

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questo ritorno con un nuovo disco che porta il suo nome: Dente (INRI/Artist First, 2020) e con l’occasione ci ha regalato una versione inedita – chitarra e voce – di Adieu.

Sono passati quattro anni dal tuo ultimo disco, come mai hai aspettato tanto per pubblicarlo?
Sono passati quattro anni ma non sono stato con le mani in mano: ho fatto due tour, di cui uno con Guido Catalano – Contemporaneamente insieme – e un altro per portare in giro il disco precedente e ho aspettato un pochettino a fare uscire questo album perché diciamo che dovevo essere sicuro di aver fatto le cose giuste e trovato la direzione. Lo ammetto non è stato per niente facile. 

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Ti sei avvalso di altre persone per produrlo, non lo hai fatto da solo come eri solito fare in passato
Sì, proprio per questo ho dovuto cercare le persone giuste con cui lavorare perché mi sono reso conto che da solo arrivavo fino ad un certo punto e magari fino a poco tempo fa mi bastava, invece volevo superarmi stavolta. Sicuramente è tutta una concatenazione di cose e anche di cambiamento mio personale. 

 

Non ho più tutto questo desiderio di autarchia, che ho sempre avuto e non ho più questo desiderio di retromania che ho sempre avuto. 

 

Volevo fare una cosa più contemporanea e avevo bisogno di qualcun altro che mi desse una mano, e ci siamo messi a lavoro.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Tu e Vasco Brondi siete un po’ considerati i padri dell’indie italiano, ti ci riconosci?
Non mi vedo nella definizione di padre.

Preferisci zio?
Preferisco: “Bella zio”. Scherzo, me lo stanno dicendo in tanti e questa cosa mi fa sentire un po’ anziano, questo essere considerato padre di qualcosa e quindi forse lo rifiuto per quello. 

 

La cosa buffa è che, se io ho influenzato quello che è successo negli ultimi anni, è anche vero che quello che è successo negli ultimi anni ha influenzato me. 

 

Mi è tornato indietro in qualche modo. 

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Hai fatto un tour con Guido Catalano: un poeta e un cantautore sul palco, una scelta retrò ma che ha funzionato. Com’è nata la vostra collaborazione?
Era nata già un po’ di tempo fa quando ci siamo conosciuti. Io lo conoscevo per i suoi libri e mi piaceva molto, la prima cosa che ho pensato quando ho letto una sua cosa è stata: “Voglio collaborare con questa persona”. Lo trovo molto affine al mio modo di scrivere e se vuoi, di vedere il mondo. Ci siamo conosciuti, siamo andati d’accordo ed è nato questo desiderio. Io avevo concluso il tour del disco precedente, lui aveva finito un libro e non aveva impedenze: abbiamo deciso di prenderci questo anno e di passarlo insieme. È stato molto divertente quello spettacolo.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Tu nei tuoi pezzi hai sempre fatto delle scelte linguistiche particolari: giochi di parole, l’uso di termini un po’ vecchi e ricercati. Che importanza hanno per te la lingua e il linguaggio?
Tutto quello che scrivo lo faccio nell’ottica di scrivere quello che mi piacerebbe ascoltare.

 

Io non sono un letterato, ho solo una regola: non scrivo cose che non vorrei sentire.

 

Sono un grande lettore però non sono un letterato, uno che ha fatto studi classici. La lingua mi è sempre piaciuta. Quando andavo a scuola mi piaceva molto la poesia, mi piaceva l’idea che con le parole si potessero fare grandi cose e che si potessero aprire dei mondi nella testa. Poi ho scoperto che ci si può giocare, che si possono nascondere delle cose, si può far piangere e ridere. Le parole sono meravigliose.

La scena trap sta cambiando moltissimo la lingua italiana. Tu da cantautore che con le parole ci lavora tutti i giorni come la vedi questa cosa?
L’italiano sta cambiando tantissimo in questi ultimi anni, perché è una lingua viva. Secondo me va bene così. Si può anche parlare come si parlava nell’Ottocento, visto che il passato c’è e non viene cancellato. 

 

Se lo scrivere di oggi diventerà lo scrivere di domani vedremo: per me la cosa interessante è il non fermarsi a pensare che sia sbagliato. 

 

In tutte le novità c’è sempre stata della reticenza, anche quando è stata inventata la macchina da scrivere ci sarà stato qualcuno che ha pensato: “Cos’è questa diavoleria”. Anche quando Edison ha inventato il fonografo per registrare la musica, i puristi della musica non hanno accettato questa cosa, dicevano che la musica andava ascoltata dal vivo e nei luoghi dove c’è un’orchestra che suona, non si può ascoltare a casa propria perché non è un luogo creato per ascoltarci della musica. Dicevano fosse una follia, oggi è la completa normalità. 

 

Le novità vanno accettate, le cose brutte o comunque sciocche ci sono e non avranno futuro da sole.

 

Secondo te nella musica italiana di adesso che cosa rischia di non avere futuro
Ci vorrebbe la sfera di cristallo, secondo me le cose che non hanno futuro sono sempre state quelle usa e getta. Quelle fatte tanto per farle, per cavalcare qualcosa, senza un motivo che non sia quello futile del denaro o del successo, credo che sia quello.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

In un’intervista hai detto: “Ho 43 anni, se scrivessi come a 25 non sarei credibile”. Questa stessa identica cosa l’ha detta anche Brunori qui, qualche mese fa. Come cambiano le canzoni d’amore alla tua età?
Cambiano in base a quanto si cambia e a quanto cambia la persona che le scrive. Probabilmente c’è anche gente di 50 anni che continua a vivere l’amore come lo viveva a 18 e magari continua anche a scriverlo come lo scriveva a 18. La cosa fondamentale è scrivere sinceramente.

Sempre in quell’intervista hai detto “Il pubblico si dimentica presto”. Tu hai paura che il pubblico si dimentichi di Dente?
Molto, moltissimo.

Pensi che sia successo in questi anni, che il pubblico abbia perso di vista Dente?
Assolutamente sì. Diciamo che quando è cambiato tutto il mondo della musica italiana io ho fatto uscire un disco molto particolare che era Canzoni per metà in cui volevo chiudere una parentesi per aprirne velocemente un’altra. Questo velocemente si è trasformato in tre anni di lavoro. 

 

Mi è sembrato di aver perso non dico il treno – che è un po’ troppo – ma il passaggio. 

 

Perché quel disco è uscito nel momento sbagliato, probabilmente fosse uscito un anno o due prima sarebbe stato molto diverso. Poi diciamo che in quel momento tutto il mondo stava andando in una direzione e io ne ho presa un’altra. Quel disco voleva essere la chiusura di un cerchio dei miei primi 10 anni.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Forse perché era un disco molto sperimentale. Pensi che adesso le persone abbiano un po’ appiattito l’ascolto?
Questo sicuramente. Ascoltando tutte le cose che stanno uscendo adesso – compreso il mio disco – c’è una sorta di appiattimento. Ci stiamo tutti un po’ piegando al fatto di dire che siamo in questo anno e che quest’anno le cose si devono fare così, perché altrimenti non c’è attenzione. C’è più omologazione, è molto più rischioso fare le cose diverse rispetto a prima – si possono sempre fare ma sapendo che bisognerà fare i conti con i risultati. Questo c’è sempre stato, ma probabilmente fino a qualche tempo fa anche le cose diverse avevano più attenzione e forse una volta nella musica indipendente sia le cose più pop che le cose meno pop avevano lo stesso tipo di pubblico – anche numericamente. 

 

Oggi la nicchia sembra in via d’estinzione. Sembra che le cose di nicchia – che comunque hanno diritto di vivere perché ci sono persone che fanno cose meravigliose – non abbiano più spazio. 

 

È diventato molto di moda andare ai concerti e ascoltare la musica italiana, però solamente di un certo tipo. Se fai una cosa diversa e provi a uscire dai binari è difficile riempire un posto, cosa che invece all’estero non succede.

In che senso?
Nel senso che all’estero sono più attenti alla nicchia, al lasciare spazio. C’è più pubblico anche per le cose che non sono pop.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Tu hai suonato ai primi Mi Ami Festival (il primo è del 2005, ndr) in cui il pubblico era ancora appunto “di nicchia”. Pensi che la musica indipendente abbia perso di qualità diventando mainstream?
Tutti quando cominciamo sogniamo di diventare più grossi, e quindi se il Mi Ami da piccola realtà è diventata una cosa gigantesca è molto bello, e lo stesso vale per gli artisti. In realtà io non sono mai stato un amante della nicchia, e non ho mai voluto essere un artista di nicchia. Anche perché non faccio musica suonando le pentole e in tedesco – in quel caso potrei dire di far parte di una nicchia. Ho sempre fatto delle canzoni e delle cose abbastanza popolari credo, che avevano le possibilità di andare oltre.

Però effettivamente quindici anni fa quello era un ambiente frequentato da pochi
Era una nicchia, però 15 anni fa era “di nicchia” anche andare ai concerti. Quando io a vent’anni ci andavo ero considerato un alieno: non era così normale anche tra i miei coetanei. C’ero io e un gruppo di miei amici che amavano andare ai live, ma agli altri non fregava niente. Adesso invece è diventata una cosa abbastanza di moda, e menomale. È una cosa che tutti quanti sognavamo da tempo. Ben venga. 

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Passiamo al disco: in Anche se non voglio il testo è una sorta di presentazione del nuovo Dente o del Dente che c’è sempre stato?
È un periodo di coscienza: quindi tutti e due. Perché appunto parlo di come sono e di come penso che gli altri mi vedano. Parlo della consapevolezza di ciò che fa parte di me da sempre e dell’accettazione del fatto che a qualcuno sto simpatico e a qualcun altro sto sui coglioni. 

 

Una presa di coscienza di cosa sono e cosa sono stato.

 

È anche un testo che ti presenta a un pubblico nuovo, magari di ragazzi che non conoscono i tuoi lavori precedenti e ti scoprono adesso con questo album nel 2020
Ci sta. L’ho sempre vista come un biglietto da visita quella canzone lì e infatti ho voluto che fosse la prima ad uscire e la prima del disco, proprio come apertura: “Piacere, questo sono io”.

 

intervista Dente

Dente © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

A proposito di pubblico: quale pubblico pensi di raggiungere con questo album?
Non so se raggiungerò i ragazzi, lo scopriremo. 

 

Diciamo che io quando scrivo e faccio i dischi non mi riferisco ad un pubblico, non penso a un target da raggiungere. Non sono un’azienda, quindi me ne frego abbastanza anche perché ne risentirebbe la sincerità della scrittura. 

 

Ho notato che i miei affezionati di sempre hanno apprezzato molto queste nuove cose che sono uscite finora e mi ha fatto molto piacere anche perché avevo un po’ paura che fosse troppo diverso questo disco. Le canzoni sono piaciute e sono contento, spero che insieme a loro si aggiungano altre persone che possano scoprirmi ora che non sono in pista da un po’ di tempo. 

 

Mi piacerebbe che questo disco arrivasse a più persone possibili.

 

Poi uno può decidere se gli piace o meno, però mi dispiacerebbe se non arrivasse.

 

 

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