Douglas Rushkoff è teorico dei media e saggista, da anni indaga il rapporto fra società e digitale: gli abbiamo chiesto se c’è ancora speranza per gli esseri umani. SPOILER! Non sono buone notizie.
Douglas Rushkoff è teorico dei media, scrittore e professore al Queens College di New York, dove insegna Media Theory and Digital Economics. È uno dei più raffinati critici del mondo digitale e di internet e si è formato nella scena underground di New York negli anni ’80 e ’90, quando frequentava Timothy Leary. In Italia ha appena pubblicato Team Human (collana Quant – Ledizioni, 2020) un manifesto preziosissimo e potente, una raccolta ordinata di tutte le sue idee, dopo oltre venti anni di nomadismo intellettuale.
Abbiamo intervistato Rushkoff una mattina di giugno, al telefono, mentre lavorava nel giardino della sua casa di Hudson, a nord di New York. Abbiamo discusso di come affrontare il viaggio che stiamo vivendo oggi, quando i cambiamenti climatici, le pandemie, le migrazioni di massa, il populismo e la disinformazione stanno mettendo alla prova la resistenza del nostro sistema.
Negli ultimi sei mesi la pandemia di Covid-19 ha ucciso oltre 500.000 persone e le proteste negli Stati Uniti stanno mostrando come le discriminazioni razziali siano ancora un segno distintivo delle nostre società. Credi che i media stiano raccontando questi eventi così importanti per il futuro del mondo in modo obiettivo ed equilibrato?
Mi chiedo in quale situazione i media siano stati in grado di raccontare un avvenimento in modo imparziale. E soprattutto in che modo è possibile raccontare il Covid e il retaggio dello schiavismo in modo imparziale: i nostri media, di sicuro in occidente, sono stati costruiti con il denaro delle pubblicità, per questo l’obiettivo delle notizie negli Stati Uniti è quello di vendere prodotti e fare soldi. Quindi, possono raccontare eventi ma lo devono fare per vendere qualcosa. Per questo dico di no, dico che non sono imparziali. La loro natura più intima non gli permette di descrivere gli eventi in modo imparziale.
© Hosein Fatemi / Panos Pictures / LUZ
Puoi farci un esempio concreto?
Se un canale tv di notizie mostra la violenza di chi manifesta di sicuro avrà più spettatori rispetto a un canale che trasmette persone che camminano per le strade o a un canale che spiega come la storia dello schiavismo sia direttamente connessa alla violenza della polizia.
Per questo motivo la televisione trasmetterà più violenza e per questo la maggior parte degli spettatori penseranno che quello che sta accadendo è solo violenza e distruzione. In questo modo non ci rendiamo conto che il 99% di quello che succede è l’esatto opposto.
Questo sistema commerciale rende impossibile fare altrimenti.
Spostando l’attenzione sul Covid invece…
Anche in questo caso: quale avvenimento stiamo raccontando? È la storia del commercio globalizzato e dell’urbanizzazione che ci hanno resi incapaci di gestire problemi semplici come produrre mascherine e respiratori? È la storia del capitalismo che ci ha spinto a produrre altrove così tante cose? È una storia di intrighi e di laboratori di ricerca governativi? È la storia del fascismo e dell’incompetenza che ha spinto il presidente degli Stati Uniti a eliminare un’agenzia che si occupava di gestire e risolvere problemi come quello che stiamo vivendo? Come vogliamo analizzare questa pandemia? Siamo forse all’inizio dell’estinzione della nostra specie e alla fine della nostra civiltà? Anche in questo caso, credo che i nostri media non siano costruiti per raccontare questi eventi in modo obiettivo.
© Didier Ruef / LUZ
Perché in questo momento storico il tuo ultimo saggio, Team Human, è così importante e contemporaneo?
Continuo a credere che l’umanità abbia una possibilità. Forse una possibilità molto piccola, ma sempre una possibilità di sopravvivere nei prossimi due secoli. Ma per farlo dobbiamo abbandonare l’interpretazione sbagliata dell’evoluzione che la definisce come una competizione. Per anni abbiamo accettato la propaganda non scientifica che sostiene che gli esseri umani sono egoisti, competono per delle risorse che sono scarse. C’è anche qualche cattivo scienziato che ha promosso questa visione libertaria e basata solo sul mercato della biologia. Tutto questo non è vero.
Leggendo Darwin si può capire che non parlava di come le specie competono per sopravvivere ma di come le diverse specie collaborano e cooperano per assicurarsi la sopravvivenza.
E così queste visioni economiche o queste teorie dell’evoluzione bastardizzate non hanno alcun senso.
Infatti non è vero quello che sostengono i razzisti, che la natura ci spinge a competere l’uno contro l’altro per il controllo del pianeta.
Anche l’economia e il mercato non devono essere competitivi nel modo in cui sono: abbiamo solo confuso un gioco da tavolo con il mondo reale perché abbiamo accettato le regole del corporativismo e della moneta come se fossero un prodotto della natura, ma non lo sono.
Non viviamo in un universo da sfruttare che continua a crescere, viviamo in un universo che si rigenera, che ha un equilibrio e deve essere sostenibile.
Con Team Human ho cercato di aiutare a riconnettere le persone con questa verità essenziale e cerco di spiegare che il modo con cui ci riconnettiamo con questa sensibilità risiede nel modo in cui ci riconnettiamo con le persone nella vita reale, guardandoci negli occhi, discutendo, guardando gli altri come compagni e collaboratori e non come nemici.
Questo lockdown ha cambiato qualcosa?
Penso che in momenti come questo, di isolamento, in cui usiamo i social network e Zoom per connetterci con gli altri abbiamo capito ancora di più quanto siamo dipendenti da questi strumenti. Mi ricorda un po’ quando mio padre mi aveva beccato fumare qualche sigaretta da ragazzino: mi ha portato nel giardino dietro casa, mi ha fatto fumare tutto il pacchetto – quando hai quindici anni e fumi un pacchetto intero stai malissimo. È molto simile: vuoi essere online? Allora fallo sempre, per sempre. Adesso siamo stanchi di questo, è orribile. Questa è la lezione da imparare.
© Justin Jin / LUZ
Tutti i movimenti di social justice attivi in questi mesi rappresentano e portano avanti i principi di Team Human? La tecnologia ha un ruolo importante in tutto questo?
Forse è un po’ controverso per me dirlo, ma l’intersezionalità esagerata favorita da internet è un problema. Credo che internet sia uno strumento perfetto per fare capire alle persone in che cosa sono diverse dalle altre, cosa le rende uniche e speciali rispetto a tutti gli altri.
L’intersezionalità è importante per diversi gruppi per capire la loro forza ma può anche essere un problema se poi per definirci usiamo queste differenze invece dei tratti che abbiamo in comune.
Se sono un uomo ebreo, bianco, un po’ queer del nord est degli Stati Uniti, sono chiaramente diverso da una donna lesbica, nera e disabile del sud degli Stati Uniti: la rete è perfetta per creare distinzioni, per atomizzare, per creare dei silos in cui far vivere le persone. Per me questi silos sono un problema perché rendono molto difficile per le persone discutere e confrontarsi e le portano a credere che sono parte di un gruppo e che le loro idee non possono essere mescolate con quelle di altri gruppi.
Non credo che la rete sostenga il genere di conversazione che dobbiamo avere. Vedo solo polarizzazione e atomizzazione.
Inoltre la tecnologia è così veloce che in poco tempo crea infiniti sottogruppi in cui confinarci.
Ovviamente abbiamo un problema enorme. Il razzismo è reale, i neri vengono uccisi veramente. Ma non sono sicuro che l’estrema frammentazione incoraggiata da internet ci possa aiutare a superare queste divisioni andando oltre i confini per vedere la vera umanità.
© Hosein Fatemi / Panos Pictures / LUZ
Come hai sostenuto diverse volte, nella storia le persone al potere hanno sempre usato le tecnologie e i mass media per il controllo. Credi che oggi ci sia ancora spazio per un futuro più democratico, decentralizzato e partecipativo?
Non sono ottimista riguardo nulla.
Sono ancora speranzoso che sia possibile per l’umanità arrivare a una società più coordinata, organica e collaborativa e credo che sia assolutamente parte della nostra natura.
Questa visione continua ad appartenere alle popolazioni indigene che vedono gli esseri umani in relazione alla natura. Quando siamo diventati più sedentari è emerso un conflitto: abbiamo iniziato a dire “Questa è la mia terra”, “Ho coltivato e allevato questo cibo” e abbiamo iniziato a pensare alle cose dal punto di vista della loro proprietà, del real estate, del territorio e questo ha cambiato il modo nel quale pensavamo a noi stessi. Da questo è nato il capitalismo, la visione di un mondo controllato dai maschi e colonialista. Gli Stati Uniti sono il risultato del colonialismo portato avanti dall’Europa occidentale, siamo andati in giro per il mondo a occupare terreni e lo abbiamo fatto perché abbiamo una moneta e la moneta deve aumentare e l’economia deve espandersi.
I nativi americani non pensano a tutto questo come parte della natura umana ma come una malattia chiamata wettiko. Non credevano che degli esseri umani potessero agire come abbiamo agito noi, distruggendo le foreste, uccidendo e stuprando le persone, schiavizzando gli africani e quindi hanno deciso che avevamo una malattia, una malattia dello spirito che hanno chiamato wettiko che ci fa agire in questo modo.
Credo di preferire questa spiegazione per definire la nostra natura: siamo stati infettati da un virus dello spirito che ci fa credere che sottomettendo tutto quello che troviamo intorno possiamo proteggerci.
Il filosofo inglese Francis Bacon vedeva la scienza come un modo per sottomettere la natura. Ma questo non funziona perché non stiamo stuprando solo il mondo esterno ma anche la natura interiore dell’uomo.
© Bjoern Steinz / Panos Pictures / LUZ
Le democrazie occidentali funzionano ancora?
Non credo funzionino. Soprattutto se pensiamo a quanto i media sono in grado di influenzare il pensiero delle persone.
Dieci anni fa un ex segretario di stato degli Stati Uniti mi ha detto: “Douglas allora hai finalmente accettato che la democrazia è un esperimento fallito?” Quel giorno avevo pensato che il suo fosse un pensiero vergognoso. Oggi penso che, da un certo punto di vista, non fosse poi così sbagliato.
Far votare le persone per candidati che sembrano star della tv e che sono valutati per le loro performance in tv non ci permette di eleggere dei buoni amministratori ma solo di avere al governo i migliori intrattenitori televisivi.
Quindi la soluzione è sviluppare un nuovo sistema o sperare che le tecnologie digitali possano incoraggiare nuovi tipi di partecipazione, meno basati sulle performance televisive e più sui fatti e su quello che i candidati dicono.
Per esempio è possibile andare verso una democrazia maggiormente dominata dalle donne, da politici come Alexandria Ocasio-Cortez rispetto a uno come Trump.
Covid-19 è la prima pandemia digitale. Ci sarà un prima e un dopo Covid-19 nel mondo digitale come è successo per i social media? È una svolta per il mondo digitale come l’11 settembre lo è stato per gli equilibri politici mondiali?
L’11 settembre è stato il momento in cui i governi hanno iniziato a usare la rete per il controllo di massa delle persone.
Il 10 settembre 2001 avevamo raggiunto il massimo della nostra apertura rispetto alla tecnologia e ai dati. L’11 settembre abbiamo capito che eravamo troppo aperti, troppo aperti con i nostri segreti, con i media.
Era giunto il tempo del controllo e questo è stato il momento in cui hanno preso forza la destra estrema, Fox News, Palantir, il capitalismo della sorveglianza.
Covid potrebbe avere un impatto forte su internet perché nel periodo del lockdown eravamo così intrappolati nella rete che adesso possiamo iniziare a capire qual è la differenza tra internet e la vita reale. Possiamo capire quanto siano preziosi i contatti reali con le persone, anche i più semplici e basilari.
Nel migliore dei casi questo isolamento forzato porterà le persone a cercare contatti reali di nuovo. Quindi spero – come è successo nella storia di mio papà e le sigarette – che questa sia la nostra overdose. Possiamo finalmente capire che internet è studiato per renderci dei lavoratori migliori, per renderci più efficienti, è una macchina e quando usiamo una macchina siamo parte di essa.
Internet è un prodotto pensato più per renderci dei lavoratori che delle persone che amano.
View into the entrance area of the new youth center in Berne, which will be handed over on 27 October 1971. The visitor is greeted with the Timothy Leary quote: “Turn on, tune in, drop out” © STR / Keystone / LUZ
Hai avuto la possibilità di conoscere e parlare personalmente con Timothy Leary. Quale parte della sua eredità è ancora rilevante oggi e in che modo ha influenzato Team Human?
Una grande parte della sua eredità è ancora rilevante oggi. Per esempio la battaglia per cui è finito in prigione negli anni ’60 sostenendo che le sostanze psichedeliche dovessero essere parte della ricerca farmacologica è stata finalmente vinta: gli psicoterapeuti usano le droghe psichedeliche come terapia. Gli ospedali fanno ricerca su come alcuni funghi allucinogeni possano aiutare persone dipendenti da droghe e alcol. L’Mdma viene usato per trattare casi di stress postraumatico. Tutte le idee per cui è stato preso in giro – ad esempio l’uso di Lsd per trattare alcuni prigionieri – oggi a distanza di 50 anni sono accettate dalla scienza. E forse un giorno saranno delle medicine.
Per me la parte importante è che Team Human è un po’ una continuazione del lavoro di Tim Leary. Non è una ripetizione ma un modo per andare avanti e usare i suoi principi nel futuro.
Quando Timothy stava per morire c’è stato un momento molto strano. Mi ha guardato, mi ha indicato con la sua mano e mi ha detto “tocca a te”. Ho letto questa cosa come il passaggio del testimone, come a dire che ero quello che doveva mantenere la sua ricerca viva. Tim ha detto una delle cose più importanti durante una conferenza all’università di Berkeley per rispondere a una ragazza molto giovane che gli aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare dopo la sua prima esperienza con le droghe psichedeliche. E Tim le ha detto: “Trova gli altri”, ovvero cerca le persone che hanno fatto la tua stessa esperienza e condividila. Io ho concluso Team Human con “trova gli altri”.
Non bisogna trovare solo le persone che hanno avuto l’epifania di Team Human, ma bisogna cercare le persone diverse da noi, di colori, fedi, religioni, gruppi di Facebook, tribù di Twitter, affiliazioni politiche diverse.
Trova le persone che credono tu sia meno umano di loro e tu credi siano meno umane di te: per me questo è il prossimo passaggio.
Dopo aver trovato le persone simili a te che ti permettono di stare bene è giunto il momento di trovare veramente gli altri.
Foto in copertina © Hosein Fatemi / Panos Pictures / LUZ