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Essere Inge Feltrinelli

I libri, i viaggi in autostop, Giangiacomo Feltrinelli, la crisi dell’editoria e le litigate con Hemingway. Inge Feltrinelli nelle sue stesse parole: 1000 per l’esattezza

di Nicolò Barattini

I libri, i viaggi in autostop, Giangiacomo Feltrinelli, la crisi dell’editoria e le litigate con Hemingway. Inge Feltrinelli nelle sue stesse parole: 1000 per l’esattezza

[Parlando di Giangiacomo Feltrinelli] “Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: «Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino»”.
Corriere della Sera, 12 marzo 2017.

“Oggi si pubblica troppo, ci sono gli e-book , che facciamo anche noi, ovviamente, ma che a me non piacciono: non puoi farci la dedica, per esempio. Non puoi andarci in spiaggia.

 

Il libro di carta è un oggetto sensuale. Io sono una donna pre-fax, pre-email, pre-iPad, pre-Google. Leggevo la sera con la pila, sotto la coperta, per non farmi scoprire dai miei genitori che volevano dormissi”.
Vanity Fair, n. 50, dicembre 2013.

 

“Feltrinelli era un uomo complesso. E timido. E scettico. Un po’ sfiduciato, come tanta gente che è nata ricca. Però non viziato. Non si comprava mai un paio di scarpe, un vestito, eccetera. Ho cominciato io a fargli un guardaroba. Ma lui era veramente un uomo senza bisogni. D’altronde, pensiamo all’opera che ha voluto mettere in piedi: l’Istituto Feltrinelli, 500 mila volumi, 30 mila testate. Avrebbe potuto spenderli per sé quei soldi. Come editore aveva una convinzione straordinaria nel suo progetto editoriale: voleva fare una casa editrice internazionale”.
La Stampa, 9 luglio 1992.

 

Essere Inge Feltrinelli

Inge Feltrinelli © Inge Schönthal Feltrinelli / LUZ

 

“Nonostante la mia famiglia fosse di origine ebraica da parte di mio padre, è stato fatto di tutto per proteggermi, per sottrarmi al destino. Io ho capito quello che era successo solo dopo la guerra, quando per la fame rubavamo patate, mele e ciliegie nei campi. Ho avuto la fortuna di ricevere nonostante tutto un’istruzione incredibile: a Gottinga mi hanno insegnato che cos’è l’eccellenza, e poi ho passato tutto il resto della mia vita a cercarla nelle persone speciali, nelle cose speciali”.
Vanity Fair, n. 50, dicembre 2013.

“La gente era un poco scettica. Ero la terza moglie, capisce? La terza! In quegli anni, in questo Paese! E poi ero tedesca. La gente diceva: “Ma che cosa vuole questa tedesca?”. Avevo girato mezzo mondo, ma era la prima volta che sentivo un’ostilità profonda nei confronti dei tedeschi. Per me era anche una sfida a conquistare gli italiani. Volevo dirgli: “Non ci sono solo i tedeschi nazi, io non sono colpevole per essere tedesca, avevo dodici anni quando la guerra è finita”. La Ginetta Vittorini mi ha preso come giovane amica: lei mi ha protetta. Era una donna stupenda, fantastica. Era una Anna Magnani del Nord. Poi, però, per rimanere non basta essere carina. Perciò sono contenta di avere fatto la mia carriera da sola, dentro quello zoo che era la casa editrice”.
La Stampa, 9 luglio 1992.

 

Essere Inge Feltrinelli

Inge Feltrinelli assieme a Ernest Hemingway a bordo della barca Pilar nel 1953 © Inge Schönthal Feltrinelli / LUZ

 

[Nel ’53 a Cuba da Hemingway] “Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore de Il Vecchio e il Mare.

 

Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni”.
Corriere della Sera, 12 marzo 2017.

 

“Vogliamo parlare di crisi dell’editoria? Si può benissimo parlare di crisi di valori storici, di crisi d’identità, di crisi generazionali. E queste crisi noi stessi, dall’interno, le sentiamo più fortemente, perché molti nostri titoli hanno cavalcato la storia, sono stati libri di intervento diretto, libri politici. Un’idea che perde il tram resta un’idea, un libro che ha perso il tram resta in magazzino”.
Tuttolibri, 17 aprile 1982.

 

Essere Inge Feltrinelli

Inge Feltrinelli © Inge Schönthal Feltrinelli / LUZ

 

“La cosa più importante che io penso di avere fatto è stata quella di aprire le porte della casa editrice. Aprirle a tutti. Farne un posto dove tutti potevano passare, sapendo di trovare sempre almeno un piatto di spaghetti, e qualcuno che avesse voglia di ascoltare. Così la Feltrinelli divenne un punto di riferimento per gli intellettuali di mezzo mondo. Giangiacomo era un uomo schivo e all’inizio non capì che cosa volevo.

 

Io volevo che ognuno qui si trovasse come a casa sua. Venivano, discutevano, lasciavano qualcosa: un’idea, un progetto, un piccolo inedito. Questo è ciò che ho fatto: ho trasformato la Feltrinelli in una casa aperta”.
La Stampa, 9 luglio 1992.

 

“Sono orgogliosa di quello che ho fatto: volevo conoscere il mondo e l’ho conosciuto. Da un certo punto in poi è stato facile, ma prima è stato merito della mia determinazione. A vent’anni me ne sono andata dalla mia cittadina in autostop, ho fatto la fotoreporter dormendo per un anno su un lettino da campeggio dentro un laboratorio fotografico, sono arrivata in America su un cargo e la sera stessa sono andata a una festa dove ho trovato un passaggio per il Rio delle Amazzoni. Non mi sono lasciata scappare nessuna occasione. Ho sempre pensato che gli ostacoli non esistessero, che si potesse fare tutto”.
Vanity Fair, n. 50, dicembre 2013.

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