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Il rosso e il nero

Tra Carmelo Bene, Cinico TV e Pedro Almodóvar: Michael Rocchetti ci ha raccontato tutto degli Scarabocchi di Maicol & Mirco.

di Gabriele Ferraresi

Li ha visti anche chi non li ha visti. Segni neri su sfondo rosso, la parola ‘fine’ a chiudere ogni tavola, figure astratte, dialoghi fulminanti: conclusa la lettura o si capisce o non si capirà mai. È la cifra stilistica di uno dei fumettisti più celebrati degli ultimi dieci anni: Michael Rocchetti.

Classe 1978, Michael con Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco dal 2001 in poi ha conquistato tutti, buttando giù il muro dell’underground per entrare nella cultura pop. Tra i suoi volumi da ricordare il folle Il papà di Dio (2016), libro oggetto di quasi mille pagine.

Giunta al secondo volume – Sob, prima c’era stato Argh – è in corso di pubblicazione per Bao Publishing la sua monumentale raccolta Opera Omnia.

Autore anche di premiati libri per l’infanzia, Rocchetti conferma: non ha messo messaggi satanici nei suoi libri per bambini, ma messaggi per bambini nei suoi libri satanici.

Una cosa di cui si trova poco in giro è dei tuoi inizi: dove sei nato, che adolescenza hai avuto?
L’adolescenza è proprio un periodo terribile, per tutti. Per me è stato forse un po’ più terribile non perché abbia vissuto una situazione difficile, anzi, sono cresciuto in una famiglia normalissima vivendo situazioni normalissime, però ho vissuto proprio un periodo – soprattutto graficamente, da autore – molto drammatico.

 

Sapevo che volevo disegnare, sapevo che volevo raccontare: ma non sapevo né cosa disegnare né cosa raccontare.

 

Questo sommato al fatto che stavo diventando adulto è stato proprio un calderone. Vengo dalle Marche, abito da sempre a Grottammare però sono nato in un paesino minuscolo, di mille abitanti, che si chiama Massignano. Ho fatto delle scuole diverse dall’istituto artistico, ho fatto il liceo scientifico, quindi ho fatto altri studi prima di fare l’Accademia e di abbandonarla immediatamente.

 

Di solito uno ricorda solo una nebbia nell’infanzia, io invece nell’infanzia sapevo bene chi ero.
È l’adolescenza che ha scombinato tutto: un periodo nebuloso da cui sono uscito di nuovo bimbo.

 

La natura ha provato a trasformarmi da bimbo a uomo, ma ha fallito miseramente. Quindi la mia adolescenza è la storia di un grosso fallimento della natura nei miei confronti.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Adriano Ercolani ti ha accostato a nomi importanti, uno su tutti Samuel Beckett, e tu hai risposto: “Io Beckett non l’ho mai letto”. Però ti volevo chiedere quali sono i tuoi riferimenti, cosa è stato importante nella tua formazione?
Adriano è il motivo per cui siamo qui ora, nel senso che è il primo che ha scoperto cosa erano Gli Scarabocchi. L’ha scoperto prima di me. Si è accorto che erano se non un fumetto qualcosa di diverso, qualcosa di più, ci ha affondato le mani dentro per primo. Non a caso l’introduzione al primo libro dell’Opera Omnia l’ho affidato proprio a lui, perché è lui che mi ha fatto scoprire me stesso. Mi paragonano spesso ad autori che io o non ho letto, oppure ho letto distrattamente, o di cui ho letto qualcosina. Beckett è uno di questi. In generale conoscevo il teatro dell’assurdo, ma non le sue opere. Ma mi capita di continuo di essere accostato ad altri.

 

Forse i miei fumetti vanno a mettere le mani in ragionamenti che sono stati fatti dalla nascita dell’uomo, capita spesso che altre persone abbiano detto bene o male le stesse cose.

 

Ma è una cosa che mi conforta. Mi ha sempre confortato la scrittura e la lettura mi ha salvato: soprattutto in un periodo in cui scoprivo che stavo male per delle cose, e un’altra persona, in un’altra parte del tempo, in un’altra condizione sociale, magari di un altro sesso, lontana da me, provava le stesse cose. Mi associano ad autori che ho letto dopo che mi sono stati consigliati, ma lì è merito dei miei personaggi: che mi hanno cambiato e mi hanno anche acculturato.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Un altro amico – Andrea Coccia – mi ha detto una cosa molto intelligente, ovvero che Gli Scarabocchi non fanno né ridere, né piangere: fanno. Sei d’accordo?
Raramente sono in disaccordo con Andrea, ma qui sarei proprio in malafede. È proprio così. Molti ridono e poi si vergognano d’aver riso, molti piangono e si sorprendono di aver pianto perché comunque c’è un impianto comico. La commozione e il riso sono i due meccanismi per cui si racconta e con cui si racconta e io li mischio sempre, li rendo inestricabili. Voglio che chi legge i miei libri quando finisce dica: “Ma cosa ho combinato leggendo questa cosa?”. È quello che è capitato a me quando ho letto dei libri fondamentali. I libri che mi aspettavo fossero belli e sono stati belli invece non mi hanno cambiato. Molti dei libri che oggi adoro invece al termine della lettura ho detto: “No, ma cosa ho letto, ho sbagliato: questa cosa non dovevo leggerla”.

 

I libri non ti devono consolare, ti devono spiazzare.
Invece molte persone pretendono dai libri un fratello, un genitore, una guida, un insegnante. I libri questo non devono mai esserlo, sarebbero traditori.

 

Nei libri, al cinema, in tv, che cosa ti ha fatto ridere ultimamente e che cosa ti ha commosso?
Io guardo a singhiozzo film, non mi capita sempre di andare a vedere l’ultimo film o di leggere l’ultimo libro. A volte leggo un libro di quarant’anni fa come fosse un libro appena uscito. Al cinema c’è un autore che io adoro, secondo me è ancora poco valorizzato nonostante sia chiaramente uno dei pesi massimi europei: Almodóvar.

 

Guardando l’opera di Almodóvar e la mia uno non ci trova delle similitudini, invece io ne trovo parecchie perché è una persona che fa ridere. Ci sono dei momenti comici enormi, dei momenti intimi e romantici, ma anche violenti, tipici della cultura spagnola. Una fotografia incredibile e dei dialoghi incredibili.

 

A tutti piace Tarantino per i dialoghi, io penso che quelli di Almodóvar siano incredibili. Poi è un altro che alterna dei film terrificanti come La pelle che abito ad altri comicissimi come Gli amanti passeggeri. Ogni volta non ho mai visto lo stesso film e non ho mai visto il film che mi aspettavo di vedere. Mi fa preoccupare ogni volta, durante la visione dico: “No, cosa succede?”. In Julieta a un certo punto il film cambia, io sono saltato sulla sedia.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Questa cosa del farsi sorprendere mi ha fatto pensare a un autore comico come Lo Sgargabonzi. La sua comicità fa leva un po’ sui santini, su tutto quello che è intoccabile, che è un po’ quello che fai tu. I tuoi fumetti o arrivano subito o non arrivano mai. Sei d’accordo?
Mi dicono anche che i miei fumetti sono letti da chi solitamente non legge fumetti. Pacciani a teatro – Lo Sgargabonzi racconta il Mostro di Firenze, ndr – è l’esempio di una cosa drammaticissima, per di più vera, che però ha dei ritmi comici. Chi stava al processo era costretto a ridere nonostante ci fossero lì le persone peggiori.

 

Il ridere nel pianto e il piangere nella risata, sono due cose affascinanti nell’uomo. Perché lo raccontano immediatamente: quindi è normale che queste cose io le pretenda nei miei fumetti.

 

Io rimango lettore di me stesso, infatti lavoro senza sceneggiatura e senza soggetto. Faccio andare avanti i personaggi per rimanere io stesso lettore, quindi è normale che pretenda dai miei libri la sorpresa. Voglio che Maicol sia sorpreso da questi libri, non posso fare libri che non sorprendono me. Leggo libri che mi sorprendono e poi faccio libri che mi lasciano annoiato?
Sarebbe una cattiveria vera.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

La tua è una scrittura automatica
Sì, speriamo non satanica.

Parlando della tua storia come autore, ho letto che la prima volta che hai portato in giro i tuoi lavori è stato nel 2001: confermi?
No, nel 2001 già avevamo cominciato a autoprodurci, all’epoca eravamo al Leoncavallo ed era uscito il primo albetto di Scarabocchi in bianco e nero, andò a ruba. 

Cosa ti ricordi di quella giornata. Eravate al Leoncavallo per che cosa?
Per l’H.I.U., Happening Internazionale Underground. In quel periodo Marco Teatro organizzava questa festa ante litteram, ai tempi non c’erano tanti festival underground in Italia. Senza internet, senza niente, tutti i reietti del fumetto come eravamo noi, quelli senza editore, facevamo un tipo di fumetto che non aveva committente e che non aveva spazi in libreria.

 

Eravamo dei kamikaze, facevamo fumetti per fare fumetti.

 

Ci trovavamo a questa sagra del fumetto underground che era internazionale, quell’anno c’era anche Jello Biafra dei Dead Kennedys. Arrivammo con una marea di fumetti portati in treno e in auto, e venivamo dalle Marche quindi è stato un calvario: sparirono tutti il primo giorno. Questo mi diede un fastidio enorme perché in quel periodo facevo un altro tipo di fumetto e Scarabocchi l’avevo fatto proprio per sbaglio, l’avevo pubblicato tanto per gioco. E invece aveva bruciato le vendite.

E l’altro?
Anche l’altro era andato esaurito subito, però Scarabocchi mi aveva infastidito, perché dopo tanto tempo che cercavo un segno distintivo, un modo di raccontare l’avevo trovato, e mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi. Li ho seppelliti per una decina d’anni nei cassetti, che sono il cimitero dei fumetti, e li ho tirati fuori dopo per altri motivi. Sono finiti su internet che è il proseguo del modo di pubblicare che avevamo: è una sorta di autoproduzione, perché non prendi soldi. Però arrivi a tutti in maniera pirata, entrando in casa di tutti. È una sorta di autoproduzione portata a livello globale.

Dal Leoncavallo nel 2001, un altro momento fondamentale per far conoscere il tuo lavoro è stato Facebook nel 2012. Quant’è cambiato Facebook dal 2012 a oggi?
Siamo cambiati noi. Io credo che i posti liberi pretendano che le persone si debbano costruire, per preservarsi, delle gabbie almeno provvisorie. Quando uno si trova in uno spazio sterminato deve mettere dei paletti: un posto dove andare a mangiare, dove dormire e dove accendersi un fuoco.

 

I miei personaggi, sono nati nella maniera più anarchica possibile, nel mio cervello, senza forma, senza nessun contenuto preciso. Potevano fare e dire quello che volevano. Però da liberi, si sono auto organizzati.

 

Ora ci sono delle regole ferree e se le sono fatte da soli: i miei personaggi devono essere rosso sul nero, nero sul rosso in altri campi, le cose devono finire entro due battute e mettere ‘fine’ sennò è un guaio. Sono prigioniero di queste regole che sono dettate da persone libere. Facebook è un po’ così, all’inizio non si è colto il valore della libertà vera. Avendo di fronte una cosa così libera, che arrivava a tutti, uno pensava: “Devo mettere un contenuto adatto a tutti. Perché arriva a tutti, quindi una cosa pop”. Per pop solitamente purtroppo consideriamo una cosa vuota di contenuti tipo la grafica di una lattina di Coca-Cola, invece con gli Scarabocchi per un momento è stata riempita una pagina di contenuti, di cose che non c’erano.

 

È vero che su internet abbiamo tutto Carmelo Bene, ma se non sai chi è Carmelo Bene, non lo troverai mai.
Internet è cambiato e cambierà sempre, chiaramente è diventato umano: e quindi orribile.

 

C’è stata questa sorta di “umanizzazione disumana” di Facebook. Noi continuiamo a fare le nostre cose, poi magari un domani le faremo in un’altra maniera, con degli ologrammi. Il fumetto, il libro, la carta sono semplicemente la versione più resistente del raccontare quelle storie che l’uomo tramandava nelle caverne attorno al fuoco, noi siamo narratori di storie. Io sono legato al fumetto, è il mio modo di raccontare. Infatti voglio che i fumetti diventino in carta e ossa.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Un’altra cosa che ho letto sugli Scarabocchi è che sono il modo giusto di raccontare l’irraccontabile. Oggi siamo pieni di strumenti per raccontare, perché continuiamo a non riuscire a raccontarlo l’irraccontabile?
È una cosa di cui accuso da lettore, non da autore, i miei colleghi: porsi dei limiti in un lavoro che non dovrebbe averne nessun tipo. È vero che noi lavoriamo per imitazione: io quando ho cominciato a leggere i fumetti volevo disegnare l’Uomo Ragno, scrivere Hulk e non mi riusciva, perché in realtà non mi interessava del tutto.

 

Abbiamo dei paletti, Scarabocchi è la storia di tutti quei paletti che mi sono tolto dal cervello.

 

Io invece auspico un fumetto che non sia né reale né realistico, vorrei proprio un fumetto irreale. Un fumetto inverosimile, vorrei spalleggiare il creatore a creare cose nuove, non raccontare quello che ha creato perché a quello ci pensa la normalità. 

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Quello che mi hai appena detto si collega un po’ a un’altra domanda che ti volevo fare, proprio a proposito del panorama degli autori: fumetto, letteratura, tv, sembra che siano tutti in punta di forchetta. Secondo te perché anche qui continuiamo ad avere questi limiti?
Questo è vero, però abbiamo avuto in passato dei grandi esempi di persone che invece questa cosa l’hanno superata, io ho provato a seguirne l’esempio. Carmelo Bene, lo cito sempre, dal palcoscenico del Costanzo Show, o Ciprì e Maresco in una delle pietre miliari della mia formazione, Cinico TV su Rai3: tu dopo il telegiornale potevi vedere la vera umanità, gente in mutande di fronte all’apocalisse. Rocco Cane è un esempio di coraggio applicato alla normalità. Nel fumetto basta parlare di Altan e Massimo Mattioli.

 

Io nei miei fumetti metto al primo posto i miei personaggi, altri scrivono per i lettori tipo: “Questo i lettori non lo capiranno mai, non lo metto”. Io no.

 

Credo che chi ho citato abbia avuto la stessa attenzione: scrivere per i personaggi. Sono loro la cosa più importante.

 

Quando vado a una presentazione e sono davanti a duecento persone mi ricordo sempre che sono lì per i miei personaggi, non solo per me.

 

Prima quando facevo le interviste non riuscivo a spiccicare parola perché non sapevo cosa dire. Banalmente frequentando i miei personaggi e parlando con loro ho raggiunto la maturità, e la realtà sta parlando tramite quello che dicono i miei personaggi.

 

Io auspico un mondo in cui non ci siano i nomi degli autori nei libri e che le opere vivano di sé stesse, della forza loro.

 

Con i bambini il meccanismo infatti è questo: non gli interessa se Maicol & Mirco sono famosi, se hanno i fan su Instagram o addirittura se hanno copiato. Se la storia è bella la leggono, se è brutta: “Papà, riportalo dove l’hai preso”.

Oltre agli Scarabocchi infatti tu fai libri per l’infanzia molto apprezzati: qual è la cosa migliore dell’avere a che fare con i bambini?
È un pubblico ancora libero dai preconcetti delle sovrastrutture che ci siamo costruiti noi adulti per sopportare e superare le avversità della vita. Sono lettori puri. Tra l’altro io scrivo sempre per bambini.

 

Quando ho cominciato a pubblicare libri per bambini tutti dicevano: “Ah, chissà quali messaggi satanici avrà inserito in questi libri”. In realtà è proprio il contrario, non ho messo messaggi satanici nei libri per bambini, ho messo messaggi per bambini nei miei libri satanici.

 

Fare un bel libro che funzioni per un bambino è un salto nel buio, non sai mai se poi arriva veramente. Se tu vai in una libreria per bambini tutti i libri sono belli, è difficilissimo trovare un libro scritto male o disegnato male. Sono tutti belli, però quelli che piacciono ai bambini sono solo alcuni. Io lo reputo veramente un pubblico vero, il mio pubblico preferito. 

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Andando a vedere il tuo sito ho visto che sei praticamente in tour perenne: cosa ti chiedono i tuoi lettori quando li incontri?
Tutti mi chiedono dove è Mirco, poi mi fanno delle domande che molto spesso non mi faccio neanche io. Faccio un tour enorme perché quello dell’autore del fumetto è un mestiere da eremita, e faccio molti incontri perché venendo dall’underground l’unico modo per vendere era quello di girare. Così sono diventato amico di tanti, ho scoperto la realtà delle librerie, mi risulta difficile dire no.

 

Comunque ho scoperto delle cose di me dai miei lettori, perché un conto è leggersi, un conto è essere letti. Ogni nostro libro arriva in maniera completamente differente.

 

Sob per cinque persone in questa stanza, sono cinque libri diversi, è interessante leggere cosa ci ha letto una persona in quel libro: Viaggio al termine della notte che ho letto io è diverso da quello che ha scritto Céline, lui l’ha scritto per delle cose, io l’ho letto per delle altre.

 

Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco Intervista

Michael Rocchetti © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Curiosità finale, c’entri qualcosa con la copertina di un libro di Beppe Severgnini di qualche tempo fa, Italiani si rimane?
No, non c’entro. Però Scarabocchi è fatto di pochi ingredienti, questi sono stati sempre il rosso e il nero, il segno e il gesto. Quindi in realtà usandoli negli anni un po’ mi sono appropriato di cose che erano in natura. Ormai il rosso è mio, nonostante non lo abbia inventato io. Capita anche a me di vedere un volantino rosso in giro e pensare: “Questa è una copia, ah no, chiaramente non l’ho fatto io”.

 

Quando lavori con i simboli, lavori con l’astrazione. E poi è normale che in quell’astrazione cadano altre persone senza che nessuno ti stia copiando.

 

Ho usato dei meccanismi che ormai sono riconducibili a me, e quindi vedere un’altra persona che magari non ha mai visto niente di mio però li usa, e come se si ritrovasse dentro casa mia senza rendersene conto. È come fare un personaggio giallo, ti viene da dire che è uno dei Simpson. Fai un personaggio con la testa grande e dopo due secondi muore? È South Park. Quindi è uno dei più grandi complimenti che mi hanno fatto, è riconoscere il valore del simbolo nei miei fumetti.

[Grazie a Michael Rocchetti per l’illustrazione in apertura]

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