Un nuovo modo di informarsi: nel 2020 Instagram è la finestra sul mondo della Generazione Z
Fino a un anno fa Instagram era il posto in cui andavi per dimenticarti del mondo. Adesso è il posto in cui vai per scoprirlo. È merito della quarantena, di movimenti come il Black Lives Matter, di un sistema di editing tra i migliori al mondo e di quella inarrestabile voglia di condivisione della scoperta che ci portiamo appresso ovunque andiamo.
Andiamo con ordine. Metà anni ’10: il mondo dentro a Instagram è talmente patinato che è un mondo altro. È una scenografia soffice di pareti rosa, luci al neon fucsia, avocado verdi, Macbook bianchi, tazze di caffè fumanti e tè (matcha, ovviamente). Attorno al 2018, la patina inizia a scrostarsi. La mano che inizia a sollevarla è quella di Emma Chamberlain, influencer della nuova generazione tra le più famose al mondo. Mac, avocado, tè (matcha) vengono sostituiti da flash, foto sfocate, espressioni annoiate, colori smorti, sfondi disordinati, abiti disordinati, cani disordinati. Il social attraversa la sua fase punk: è alternativo e diversamente cool.
Ma, seppure con un processo diverso, ci si va comunque per scappare dal mondo, almeno per un paio di minuti di scroll: per guardare le vite interessanti degli altri e per rendere interessante la propria.
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A inizio 2020, il feed inizia a cambiare di nuovo: sotto la foto di un piatto di spaghetti inizia a spuntare una foto di Boris Johnson; dopo la storia di un bagno al mare quella di George Floyd che non respira; successivo a un “Hi guys” della Ferry, un prontuario per come scioperare digitalmente durante il Friday for future. Il feed inizia a ospitare il mondo, oltre che noi stessi. Il Digital News Report stilato a metà 2020 dalla Reuters dice che ormai appena un quarto degli utenti si informano tramite un sito o un’app. E oltre la metà degli utenti della Generazione Z (18-24) usa esclusivamente i social media per capire il mondo. Al primo posto rimane ancora Facebook, seguito da Youtube. Ma al terzo posto ecco che spunta Instagram, il cui uso a fini informativi e più che raddoppiato rispetto al 2018 e che “si prepara a superare Twitter” in tutto il mondo come fonte di informazione social.
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In Italia il sorpasso su Twitter è già avvenuto. Durante la quarantena, mentre il New York Times nominava il suo Director of Instagram, i grandi gruppi editoriali iniziavano a creare contenuti e nuovi format nativi per Instagram, e nascevano progetti di informazione nativi sul social, come Will, Torcha o Factanza. Oggi, dopo Brasile e Cile, il nostro Paese è quello in cui Instagram è il social più amato per le news dopo i soliti Facebook, Whatsapp e Youtube (è usato a fini informativi dal 17% del campione, in crescita di addirittura l’8%).
Come ci siamo arrivati, a rendere il luogo più patinato dell’Internet una piazza dove si forma, oltre che una buona percentuale delle neocoppie italiane, pure l’opinione pubblica?
Una rilevante precondizione è stata introdotta da Instagram un anno prima, quando ha permesso di condividere i post di altre persone all’interno di una propria storia. È stata la prima mossa rivoluzionaria per un social che fino ad allora permetteva ben poca interazione e ricondivisione dei contenuti.
Da quel momento, un post poteva essere ricondiviso da migliaia di utenti e diventare finalmente virale.
La quarantena ha fatto il resto. A marzo 2020 in miliardi ci siamo ritrovati chiusi in casa. La prima settimana social è stata fantastica. Il primo mese non male. Il secondo, ripetitivo. A corto di vacanze, aperitivi, bilancieri e pozzanghere da fotografare, dopo il quinto scatto del pane fatto in casa e con tutti i muri della cucina ormai immortalati, abbiamo sentito l’esigenza di popolare l’ambiente che ci era più familiare con nuovi argomenti. Chiusi in casa, esauriti gli spazi della stessa, abbiamo iniziato a volgere lo sguardo all’esterno. “La gente ha pensato: È tutto chiuso, meglio postare qualcosa di politica”, ha spiegato a Vox Aymar Jean Christian, professore di Comunicazione alla Northwestern University.
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Qualche settimana dopo l’inizio di quel cambiamento, è arrivata “la storia”: quella singola, potentissima, storia che permette alle masse di appassionarsi, di condividere informazioni e di combattere per qualcosa.
La morte di George Floyd, ripresa da più angolazioni, semplice da comprendere, dotata di un audio universale (“I can’t breathe”), è diventata forse l’evento mondiale di cronaca nera più virale di tutti i tempi.
Ha provocato indignazione, rabbia e attivismo, e li ha convogliati tutti su Instagram. Nel giro di un mese, la pagina Ig dell’organizzazione per i diritti dei neri NAACP ha guadagnato 1 milione di nuovi follower. Attivisti neri sono diventati punti di riferimento mondiali per il tema delle discriminazioni razziali. Pagine sorte dal nulla sono diventate hub per condividere informazioni e dati. “C’è stato un momento in cui le persone si sentivano in colpa se non postavano qualcosa che avesse a che fare con quello che stava succedendo”, ha spiegato Thaddeus Coates, artista queer nera tra le più prolifiche nell’informazione.
“La gente non postava più foto di cibo, perché faceva strano vedere la foto di un panino e subito dopo quella di una persona che era stata uccisa”.
Il feed si era definitivamente “sporcato”, ospitando sempre di più immagini dure e concretissime. E Instagram è diventata nel giro di un mese la piazza di discussione politica e sociale più popolare del mondo. Gli stessi politici iniziano ad arrivarci con format nativi, e non più sciatte riproposizioni di contenuti pensati per Facebook o per i loro siti. Tra le più attive a livello mondiale, Alexandria Ocasio-Cortez, ormai abitué delle dirette con i propri fan. Tra i più attivi a livello nazionale, Giuseppe Conte, il cui profilo ha visto triplicare i propri follower dall’inizio della pandemia a oggi (1,5 milioni).
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C’è che Instagram, in questo 2020, è stata la giusta via di mezzo tra Twitter (quello con cui abbiamo raccontato le rivoluzioni arabe) e Facebook (quello con cui abbiamo formato l’opinione pubblica dei Millennial). Entrambi hanno caratteristiche diventate difetti in questo 2020. Il primo è poco aperto al dialogo, abbastanza pieno di fake news, e troppo “piccolo”: i suoi 166 milioni di utenti attivi giornalieri sono meno di un terzo dei 500 milioni che ogni giorno postano stories su Ig. Il secondo è troppo “grande”, quindi dispersivo, e tutt’altro che adatto allo sviluppo di un dibattito sereno. TikTok è in ascesa, ma è ancora immaturo per discussioni politiche. Instagram, almeno nel 2020, è la giusta via di mezzo grazie a format semplicissimi, un pubblico abbastanza giovane e attivo nelle proteste, pulizia del feed e discreta varietà di argomenti (non è strano parlare di skin care e di razzismo).
Difficile fare previsioni su quanto tempo rimarrà la piazza social dell’opinione pubblica. Le due caratteristiche che ne hanno fatto più fortuna, la pulizia e il senso di community, potrebbero essere messe a rischio da due fattori. Primo, l’arrivo in massa e piuttosto disordinato dei politici, che potrebbero rovinare quel senso di attivismo sociale dal basso e “rovinare” l’estetica del social con i loro contenuti esclusivamente persuasivi. Secondo, la diffusione di challenge apparentemente impegnate ma in realtà patinatissime, che potrebbero far perdere fiducia nella genuinità delle discussioni pubbliche. Esemplare il caso dei selfie in bianco e nero postati da più di 8 milioni di donne con l’hashtag #womensupportingwomen, la cui origine non è mai stata chiarita del tutto. L’iniziativa è stata criticata da diverse celebrity, che l’hanno definita inutile e figlia di narcisismo piuttosto che di sincero attivismo.
Il rischio, insomma, è che Instagram torni a fare Instagram.
Foto di copertina © Armin Karami / Middle East Images / LUZ