Lotta allo spreco, effetto sorpresa e tradizione italiana, Ilaria Ricotti racconta Too Good To Go.
Ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono perse o vanno sprecate. Non si tratta di un argomento nuovo, eppure, da una semplice ricerca su Google Trends, si può notare come l’interesse per combattere lo spreco alimentare negli ultimi mesi sia in forte crescita.
La sostenibilità però non è un trend, e diverse realtà si impegnano nel concreto per fare la differenza. Nel 2016, infatti, in Danimarca è nata Too Good To Go, un’app che permette di collegare gli utenti ad attività commerciali che hanno cibo invenduto o in eccesso. Con Ilaria Ricotti, PR Manager di Too Good To Go, abbiamo parlato di come portare avanti una lotta allo spreco in modo veloce, smart e innovativo.
Qual è stato il tuo primo approccio alla sostenibilità?
Mi sono sempre interessata di sostenibilità e di lotta allo spreco alimentare nel particolare. Già durante la mia prima esperienza lavorativa ho avuto modo di lavorare a un progetto contro lo spreco alimentare promosso in occasione dell’Expo 2015,. il cui tema era “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, e ho preso di sicuro più confidenza con tutto ciò che riguarda l’alimentazione, l’educazione alimentare e gli sprechi. Poi ho anche collaborato con FoodTank, un’organizzazione no-profit che mira a offrire soluzioni ecologicamente sostenibili per alleviare la fame, l’obesità e la povertà, fondata dall’attivista Danielle Nierenberg. Mi occupavo di fare ricerche e creare contenuti sullo spreco alimentare, ed è stato un po’ un “amore a prima vista”. Ho continuato a lavorare in ambito food e, quando ho saputo dell’espansione di Too Good To Go in Italia, partecipare a questa realtà è diventato un mio pallino per poterne fare un vero e proprio lavoro.
© Carlo Ramerino / LUZ
Direi che il tuo coinvolgimento su questi temi è ben visibile. Mi piace pensare che in generale le persone siano ben disposte a impegnarsi contro lo spreco alimentare, ma spesso questa “buona volontà” è frenata dalla mancanza di comodità. Quali soluzioni si potrebbero adottare nel concreto?
Lo spreco alimentare è un problema dei nostri tempi che dev’essere affrontato con urgenza. Sicuramente è necessario renderlo una questione alla portata di tutti, ed è importante trasmettere che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo sempre fare qualcosa. È possibile portare avanti nelle propria mura domestiche tutta una serie di accortezze e gesti che, se applicati con costanza al proprio stile di vita, possono effettivamente combattere lo spreco alimentare.
Organizzare i prodotti nelle dispense, imparare nuove ricette antispreco e riscoprire gli avanzi potrebbero sembrare attività che richiedono un certo impegno, quando in realtà sono espedienti che sono sempre stati presi nella tradizione italiana.
È una questione di forza di volontà, ma anche un modo per riscoprire le nostre radici e una certa saggezza popolare.
Cambiare la mentalità delle persone sembra una sfida impossibile, ma quello che stiamo facendo è far capire che piccoli sforzi quotidiani possono fare la differenza in termini di sostenibilità.
Sul sito infatti si possono trovare diversi consigli su come ridurre i propri sprechi alimentari. Può essere considerato un passaggio importante nell’invogliare le persone a cambiare un po’ il loro stile di vita. Quale ruolo credi che abbia il lavoro di divulgazione a livello politico?
Credo sia fondamentale, infatti, oltre all’attività di marketplace, Too Good To Go si propone di portare avanti tutta una serie di iniziative grazie all’area The Movement. L’app è un primo tassello, ma per combattere efficacemente lo spreco alimentare bisogna affrontarlo a 360°. Parte dei ricavi è utilizzata per i progetti del Team Movement, che organizza attività focalizzandosi su quattro pilastri: scuole, persone, aziende e politica.
La divulgazione, specie se svolta nelle scuole, è la base da cui partire per sensibilizzare e fornire materiali e informazioni ai consumatori del futuro. È importante intercettare questa parte della società, per far capire loro quanto sia rilevante agire da subito.
Alle persone, invece, vogliamo trasmettere trucchi, accorgimenti e ricette pensate in ottica anti-spreco proprio per le loro cucine di casa, nella quotidianità. Per quanto riguarda il livello aziendale, noi collaboriamo sì con le attività commerciali, ma anche con aziende agroalimentari che si occupano di questi prodotti, per trovare soluzioni su tutta la filiera produttiva. E, per rispondere alla domanda, l’informazione si intreccia con la politica nel dialogo con le istituzioni. Il tema della sostenibilità, e dello spreco alimentare, dev’essere riconosciuto da e per tutta la società. In Italia sicuramente la Legge 166/2016, conosciuta come Legge Gadda, dimostra una buona apertura politica su questi temi, e una maggiore sensibilità a portare al centro il dibattito. Di certo ha fornito indicazioni e strumenti molto utili, cosa che ad esempio è avvenuta anche in Francia.
© Vito Maria Grattacaso / LUZ
Anche guardando ai dati di Too Good To Go, secondo te, l’Italia come sta reagendo al tema della sostenibilità
Sta reagendo molto bene! Il servizio in Italia esiste da meno di due anni, il team è molto giovane e ci stiamo muovendo per diffondere le nostre iniziative. C’è stata un’espansione fulminea, ma anche continua, e infatti in Italia l’app sta funzionando molto bene, anche rispetto agli altri Paesi europei.
Abbiamo più di 2,5 milioni di utenti registrati, 2 milioni di box acquistate, 40 città lanciate ufficialmente e 9000 partner. Credo che siano dati importanti che parlano di un Paese che ha voglia di fare.
Il nostro obiettivo per il 2021 è intensificare le attività sul territorio. Finora ci siamo concentrati sulle città un po’ più grandi, ma ora è essenziale svilupparci in maniera più capillare per stimolare un numero sempre maggiore di persone.
Credo che uno dei punti di forza sia proprio che anche le singole persone, nei loro piccoli gesti, possono sentirsi parte di un movimento più grande che fa effettivamente la differenza. Da poco è nato il Patto contro lo spreco alimentare, ti andrebbe di raccontarlo?
Il 5 febbraio è stata la Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, e abbiamo lanciato il Patto contro lo Spreco Alimentare, che riunisce importanti partner come aziende dell’agroalimentare e GDO per portare avanti azioni concrete e di sensibilizzazione contro gli sprechi alimentari. Nello specifico è composto da cinque azioni. La prima riguarda l’etichettatura. Quando si guarda l’etichetta di un prodotto alimentare ci si trova davanti alla scritta “consumarsi entro il” oppure “preferibilmente entro”. Nel primo caso dopo quella data il prodotto potrebbe essere nocivo alla salute, mentre nella seconda opzione da quella data il prodotto potrebbe iniziare a perdere proprietà organolettiche, ma non è dannoso.
Il 10% dello spreco domestico a livello europeo deriva dalla disinformazione data dalle etichette.
Se c’è scritto che scade il 2 marzo, ad esempio, non è che si debba buttare quel giorno entro la mezzanotte, ma il consumatore può utilizzare i propri sensi, e le proprie facoltà, per capire lo stato del prodotto. Altre azioni che rientrano nel patto coinvolgono le aziende e le persone in attività di sensibilizzazione, per formare consumatori vigili e consapevoli.
Infine nelle parti dedicate a “supermercato e fabbrica contro lo spreco” vogliamo portare oltre la lotta di Too Good To Go e delle aziende firmatarie, facendo un passo in più. Non vogliamo contribuire solo a evitare gli sprechi nelle ultimi fasi della distribuzione, ma trovare soluzioni su tutta la filiera. Così noi vorremmo proporre un modello integrato che coinvolga anche il terzo settore – ad esempio tra i partner c’è Croce Rossa Italiana – e che porti a una riduzione degli sprechi all’interno dei magazzini.
© Filippo Massellani / LUZ
Il lavoro che svolgete si concentra attivamente sul fare informazione e allo stesso tempo propone azioni concrete. Che cosa ne pensi, invece, delle realtà che negli ultimi anni stanno facendo greenwashing? Come si sta trattando il tema ambientale nella comunicazione?
È innegabile che nel mondo della comunicazione e del marketing la sostenibilità sia diventato un argomento di tendenza. Tutti ne stanno parlando, o almeno ci provano. Ogni volta che si parla troppo di qualcosa, però, si arriva al parossismo. È un’estremizzazione che può portare alla saturazione. Credo comunque che il consumatore possa capire da solo e sia in grado di fare un distinguo tra ciò che gli viene comunicato.
Non sempre le azioni che si definiscono “sostenibili” sono come quelle di Greta Thunberg, specie nel marketing.
Bisogna informarsi per differenziare chi si occupa di sostenibilità seriamente, con azioni concrete, e chi invece usa il tema solo nei comunicati stampa. Lavorando in un’azienda che fa della sostenibilità il proprio core business non fa piacere vedere che in tanti usano la parola impropriamente. Però penso che il greenwashing sia un’azione di marketing che seguirà un’evoluzione ciclica, come il mercato, ovvero che si autocorreggerà da sola. Puntare i riflettori su questi temi, portando la sostenibilità al centro del dibattito, fa comunque bene al consumatore, perché si informerà sempre di più e vorrà capire chi è effettivamente sostenibile e chi no. Le realtà che usano il greenwashing ne usciranno penalizzate sul lungo periodo.
Parlando di consumatori e quindi di persone, spesso si associano le tematiche ambientali alla Generazione Z. È effettivamente così? Quale fascia d’età usa maggiormente l’app?
In base a ciò che riusciamo a monitorare quando facciamo survey o altre iniziative, possiamo dire che sicuramente i millennial sono la fetta di mercato più affezionata. In questo momento il servizio è presente nelle città più grandi, dove magari gli universitari e i giovani lavoratori sono più sensibili al tema ambientale, ma anche alla scontistica. Inoltre abbiamo notato che aprendoci alle realtà più piccole il target si sta alzando. Magari alcuni over40 hanno notato l’iniziativa nei loro negozi preferiti, per la pubblicità o perché gliel’hanno consigliato i propri figli.
© Stefan Boness/Panos Pictures/LUZ
Il vostro servizio risulta conveniente sia per le persone che per le attività. Che ruolo gioca l’effetto sorpresa?
Il fatto che non si conosca il contenuto della Box è pensato in particolare per aiutare gli esercenti commerciali e incoraggiarli a porre all’interno ciò che davvero rimane invenduto a fine giornata. In questo modo, rendiamo più facile il recupero e contemporaneamente educhiamo il consumatore al fatto che il suo gesto è davvero un gesto per contrastare lo spreco alimentare e aiutare così l’ambiente, decidendo di acquistare una box a sorpresa e non scegliendo personalmente i prodotti.
Spesso diciamo che il nostro servizio è l’ultimo miglio della lotta allo spreco alimentare – nelle telecomunicazioni con “ultimo miglio” si intende la tratta di cavo che connette le centrali telefoniche agli utenti finali ndr. Il lavoro che facciamo è quello di facilitare gli esercenti commerciali, mettendoli in contatto – all’ultimo miglio – con le persone, per combattere gli sprechi.
E visto che abbiamo parlato di box, qual è il piatto più buono che hai trovato recentemente?
Questo sabato: pappa al pomodoro di una gastronomia di Milano. Buon appetito!
Foto in copertina © Vito Maria Grattacaso / LUZ