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Riformare la democrazia

La sfida europeista e liberale di Marco Cappato.

di Andrea Aufieri

Marco Cappato ha il grande rimpianto di non essere riuscito a tenere insieme le anime del Partito Radicale alla morte del suo leader storico, Marco Pannella. Da quel momento il suo impegno politico ha assunto una dimensione diversa, occupandosi di argomenti che in Italia non sono incredibilmente al centro del dibattito pubblico. Laureato in Economia e Commercio alla “Bocconi” di Milano, si occupa a tempo pieno delle battaglie per i diritti individuali con l’associazione “Luca Coscioni”.

Come definirebbe la qualità della sua vita privata rispetto ai suoi numerosi impegni lavorativi? Sente mai il bisogno di staccare o di pensare ad altro?
Il mio lavoro di attivista politico è felicemente totalizzante. Ho la fortuna di potermi occupare di temi molto diversi tra loro. Devo approfondire molto, il confine tra ciò che faccio per lavoro e ciò che invece mi piace è molto labile. Per me è una grande fortuna poter vedere nel mondo intorno a me una maggiore sintonia con i miei stessi principi e potermi impegnare affinché le cose vadano in direzione di una maggiore libertà e dei diritti individuali. L’aspetto negativo è che l’assenza di un confine non sempre è facile da conciliare con i momenti importanti di una famiglia.

Nella sua carriera quali sono stati e come ha affrontato il suo fallimento più grande e il suo più grande successo?
senza nascondere la commozione– Per molti anni con Marco Pannella siamo stati vicinissimi: abbiamo condiviso la casa a Roma e a Bruxelles, abbiamo lottato insieme per quasi un quarto di secolo. Alla sua morte ci sono state polemiche, scontri, scissioni. Non entro nel merito, ma quella che sarebbe potuta essere la transizione da una leadership personale molto forte di Marco a una leadership collettiva delle anime del partito non è andata a buon fine e per me è stato un fallimento.
Sul successo, che per chi guarda alla politica anche da attivista si misura sulla capacità di incisione nelle regole, nel governo, nella società, quello è stato senza dubbio il processo che ha portato alla legge sul testamento biologico, prima, e alla sentenza della Corte costituzionale, poi. Un iter ancora incompleto che però con l’associazione Coscioni sul fronte del fine vita ci ha dato grande soddisfazione.

intervista a Marco Cappato

© Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Si impegnerà ancora nella politica elettorale?
Non escludo di tornare a candidarmi, ma oggi questa cosa non mi interessa, perché ritengo prioritario contribuire a rafforzare gli strumenti della partecipazione civica che vanno oltre il mero elemento delle elezioni.

 

La democrazia elettorale è in una crisi profonda, che non è dovuta – come spesso si tende a credere – all’inadeguatezza dei protagonisti, ma semmai è la conseguenza di problemi strutturali che essa incontra.

 

Anzitutto il fatto che questa non risolve più le necessità e i problemi dei cittadini, perché ormai tutto ha una dinamica transnazionale. La pandemia è l’esempio più evidente, ma anche i cambiamenti climatici, le crisi migratorie e quelle finanziarie. Per arrivare alle enormi questioni poste dall’intelligenza artificiale e dalla rivoluzione genetica.

Anche la democrazia andrebbe riformata?
La democrazia elettorale adesso guarda solo a interessi di breve periodo. Ci sono strumenti innovativi, oltre a quelli della democrazia diretta, dei referendum, delle leggi di iniziativa popolare. Per esempio le assemblee di cittadini estratti a sorte, come ha fatto Macron in Francia per i cambiamenti climatici, senza la pressione del consenso a breve termine, che possono lavorare nell’interesse pubblico.

Se non si riesce a integrare la democrazia rappresentativa con una robusta dose di democrazia della partecipazione, la crisi della democrazia diventerà sempre più profonda.

Lei ha avuto una laurea in Economia e Commercio alla Bocconi e ha da sempre una formazione radicale e dunque liberal. Che cosa vorrebbe che fosse un liberale italiano ed europeo, oggi? Non vale inserire “Marco Pannella” nella risposta.
Oggi la più grande sfida è quella di usare l’economia di mercato per rafforzare la salute dell’ecosistema: essere liberali non vuol dire rinunciare a un ruolo dello Stato nell’economia, anzi, significa attribuire a esso, come alla legge e alle regole esattamente il ruolo di garantire che il mercato funzioni senza distorsioni monopolistiche, senza creare sfruttamento sociale, senza distruggere le risorse ambientali. Per compiere questo passo va attivata una rivoluzione fiscale di enorme portata, spostando la tassazione dal reddito individuale al consumo di risorse ambientali.

E secondo questa visione, le riforme che potrebbero avere una grande ricaduta sulla qualità della vita, sono sempre legate al concetto di copertura finanziaria? Come si risponde da un’ottica europea all’idea di assorbimento dell’Italia in contesti differenti, dai sovranisti europei alla Russia o alla Cina?
Sicuramente ci sono tante riforme da fare, tra cui una migliore qualità della spesa pubblica, che lascia molto a desiderare. Penso al nostro attuale investimento sul futuro, sulla ricerca scientifica, sull’istruzione.

 

Lo Stato gioca a fare l’imprenditore, ma invece di gestire i servizi, sarebbe opportuno che garantisse che questi siano erogati con determinati parametri. Insomma, ci sono degli interventi da fare anche in termini di spesa per spingere nella direzione di una società della conoscenza e per essere adeguati alla rivoluzione scientifica e tecnologica che abbiamo davanti.

intervista a Marco Cappato

© Vito Maria Grattacaso / LUZ

La pandemia ha accelerato queste riflessioni, rendendo chiaro che l’unica possibilità di salvataggio di un sistema democratico liberale è collegata all’evoluzione dell’Europa e all’alleanza transatlantica, perché, con tutti i loro limiti, restano nel perimetro delle democrazie liberali dello stato di diritto. La democrazia liberale avrà un futuro se l’Europa riuscirà a investire nei meccanismi di partecipazione democratica e se le altre democrazie riusciranno a rinsaldare delle strategie di alleanza.

Può essere più chiaro su quest’ultimo punto? Può essere una risposta agli europessimisti che ritengono irriformabile l’Unione Europea?
Non serve essere ottimisti o pessimisti. L’Unione Europea è un’istituzione ancora nelle mani dei governi nazionali e quindi dei ricatti tra le burocrazie nazionali e dei loro egoismi. Bisogna creare un’agenda di riforme in cui il potere di veto dei governi nazionali sia sempre più marginalizzato e dove la partecipazione dei cittadini sia sempre più rafforzata, con investimenti anche tecnologici per farlo. Per esempio, le iniziative dei cittadini europei sono l’unico strumento di partecipazione previsto dai Trattati dell’Unione Europea e si possono attivare anche online, cosa che in Italia non è ancora consentito fare. La democrazia è anche una tecnica e quindi ha bisogno di aggiornamento e innovazione ammodernamento.

intervista a Marco Cappato

© Vito Maria Grattacaso / LUZ

A proposito d’intelligenza artificiale, non solo per tutto ciò che riguarda l’eutanasia legale, ma anche per la legalizzazione delle droghe, il gioco d’azzardo, perfino sulla prostituzione e lo sbattezzo, sul sito dell’associazione Coscioni molte informazioni in questi campi sono fornite da un bot di cittadinanza, “CitBot”. Le chiedo una riflessione sul modo migliore e sicuro di usare l’IA per migliorare la qualità della vita per i cittadini.
L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando la nostra vita, il mondo del lavoro, l’economia. Tutto a una velocità impressionante.

 

Ci sono previsioni di riduzione di quasi la metà dei posti di lavoro globali entro dieci anni. Gli investimenti su questo tipo di tecnologie sono privati, di grandi multinazionali di internet e con l’obiettivo commerciale di conoscere sempre meglio il comportamento del consumatore.

 

I sistemi non democratici le usano per controllare il cittadino e censurarlo. Da tale contesto manca un investimento pubblico sullo sviluppo dell’IA per potenziare il cittadino nei confronti sia delle aziende che dello Stato e per rafforzarlo nella capacità di interagire e relazionarsi con gli altri cittadini, quindi un’intelligenza artificiale civica democratica, che consenta alle persone di far valere i propri diritti, di difendersi davanti ai soprusi, di interagire con altri cittadini e di organizzarsi liberamente per qualsiasi obiettivo, politico, democratico, lavorativo, di svago. Perché nemmeno negli stati democratici si è messo all’ordine del giorno questa urgenza si può pure capire, ma non penso sia positivo lasciare il totale degli investimenti del settore ai privati.

Affinché sia usata per garantire una qualità della vita accettabile, come andrebbe impiegata l’IA?
Innanzitutto per rafforzare la possibilità di scelta di qualità della vita dei cittadini: questa è la questione principale. Anche in questo caso un dialogo con gli enti di innovazione è fondamentale, ma è la politica che deve imprimere la direzione. C’è una diffidenza della politica a coinvolgere le aziende su obiettivi pubblici specifici. Con l’iniziativa Stop Global Warming ci stiamo provando, ma incontriamo molta resistenza. È come se per le aziende ci fossero due dimensioni possibili: la pressione lobbistica sul legislatore e sul governo oppure una causa sociale. Stiamo provando a percorre una terza via, che sta nel mezzo: la partecipazione civica, che deve implementare l’attività del legislatore e l’impegno dei privati. Da un punto di vista istituzionale il riferimento è la Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti economici sociali e culturali, che enuncia il diritto alla scienza e che dovrebbe essere un faro per la politica democratica, perché stabilisce il diritto umano fondamentale a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni. E l’oggetto non sarebbe più solo l’IA, ma anche la genomica.

 

La modificazione genetica può essere estesa a tutti o resta appannaggio di chi ha le possibilità economiche? Questo è un punto molto importante di equità, giustizia e al tempo stesso di democrazia.

intervista a Marco Cappato

© Vito Maria Grattacaso / LUZ

Accennava alla campagna Stop Global Warming e al progetto Eumans. Quali sono i vostri obiettivi?
L’iniziativa dei cittadini europei è uno strumento previsto dall’Ue, se proposta da un milione di cittadini di almeno sette Paesi. Se la proposta viene presentata, il parlamento ne deve discutere. Avevamo previsto una serie di iniziative per arrivare alla tassazione del consumo di risorse ambientali, ma la pandemia ci ha bloccati, adesso è una campagna digitale che si concluderà il 22 aprile, Giornata mondiale della Terra, ed è lontana dal suo obiettivo, ma è servita a consolidare collaborazioni e a sensibilizzare molte persone. Eumans è tra soggetti proponenti ed è un movimento paneuropeo di iniziativa popolare, l’equivalente di un partito politico, che a differenza di questo tipo di soggetti lavora in una dimensione europea con strumenti di partecipazione civica.

Guardando sempre al coinvolgimento dei cittadini, come sta andando l’adesione all testamento biologico in Italia?
La legge sul testamento biologico non è conosciuta, per cui ha iniziato a produrre degli effetti di consapevolezza soprattutto nella parte della popolazione già avvertita e informata. Mancano azioni di informazione e divulgazione anche nei ceti più popolari della cittadinanza.

Perché in Italia parliamo ancora di suicidio di Stato? Esiste o meno la volontà politica di sbloccare questa situazione?
Benché a parole offrano sponde, i vertici dei partiti non amano affrontare un tema che considerano divisivo. Eppure l’opinione pubblica in Italia, e non solo, è favorevole a questa pratica. L’eutanasia oggi non è legale e come tutte le cose illegali è accessibile a chi se la può permettere o andando all’estero rivolgendosi a chi le realizza in clandestinità. Ed è il motivo per cui vogliamo una legge che consenta di porre fine alla propria vita senza soffrire a tutti coloro che si trovano in determinate condizioni di sofferenza e di patologie irreversibili.

 

Questa è una morte di Stato? No, io credo che è una tortura di Stato imporre a qualcuno una condizione che non vorrebbe vivere.

 

Stiamo parlando semplicemente di consentire alle persone di autodeterminarsi. È il contrario della morte di Stato, è l’affermazione della libertà individuale.

Non è accettato neanche il concetto di contrasto all’accanimento terapeutico?
Nel nostro paese una persona malata di patologie irreversibili e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ha il diritto di essere aiutata a morire all’interno del servizio sanitario nazionale. Questo risultato, non ancora applicato, l’abbiamo ottenuto con le sentenze nelle aule di tribunale e con la disobbedienza civile invece che con una legge. La situazione sta evolvendo e sono fiducioso che su questo percorso si possa proseguire.

 

intervista a Marco Cappato

© Vito Maria Grattacaso / LUZ

Quindici anni fa moriva Luca Coscioni; è passato da poco il quarto anniversario dalla morte di Fabiano Antoniani (Dj Fabo): qual è il punto della situazione sulla battaglia per l’eutanasia legale e cosa la spinge a continuare?
Con Mina Welby siamo ancora sotto processo per la morte di Davide Trentini. Eravamo stati assolti in primo grado, ma la procura ha fatto ricorso e quindi ci sarà un processo d’appello a Genova, anche se non siamo ancora stati convocati – ​dopo l’intervista è stata comunicata la data del 28 aprile, ndr​. Nel frattempo stiamo andando avanti, anche con azioni di disobbedienza civile. Siamo in contatto con diverse persone che ci stanno chiedendo aiuto a morire e una di queste persone rientrerebbe nei requisiti previsti dalla sentenza della corte costituzionale: l’Asl gli ha rifiutato l’aiuto e lei ha deciso di presentare ricorso giudiziario.

 

Se non sarà il parlamento a intervenire noi comunque non ci fermeremo, prevedendo anche il carcere.

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