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Signore si nasce

Da Aelle a TRX Radio, da Fabri Fibra a Madame: abbiamo intervistato Paola Zukar, una delle più grandi innovatrici della cultura rap in Italia.

di Valentina Ecca

Tutti la chiamano la signora del rap, e lo è davvero. Paola Zukar è signorile, disponibile e con un punto di vista ben preciso e ponderato sulle cose. L’abbiamo intervistata un po’ di tempo fa, mentre ci interrogavamo sul mondo dei live e sulla situazione degli eventi in Italia. Ci siamo chiesti chi potesse avere un’opinione lucida e competente della questione e abbiamo pensato a lei. 

Inutile dire che con Paola Zukar si può parlare davvero di tutto: è la memoria storica di una delle riviste che meglio hanno raccontato il rap in Italia – Aelle, ndr – e ha portato al successo artisti come Fabri Fibra e Clementino. Adesso nella sua scuderia vanta una delle promesse del rap, Madame: ovviamente ci ha parlato anche di lei.

L’estate del 2020 è partita con i presupposti peggiori per la stagione dei concerti e degli eventi live. Come hai vissuto questa notizia?
In questo clima di incertezza totale è molto difficile muoversi, e mi sembra che nessuno ci abbia capito niente: dai più esperti, ai mega virologi, tantomeno ai politici. Poi alla fine ognuno fa un po’ come gli pare ed è un po’ tutto relativo. La categoria più penalizzata è quella degli eventi, in assoluto. Quindi niente, per adesso bisogna attenersi alle regole, ma immagina un concerto con una persona qui, una là, una su, una giù. Non è quello lo spirito del concerto, è ben altro. Quindi purtroppo non ci sono sostituti in questo momento, non ci sono alternative valide al live. Questa rimarrà così, una stagione che ci ricorderemo tristemente per mille motivi, anche più gravi, tra cui questo. Penso soprattutto a quelle categorie di lavoratori  – che sono i turnisti – che probabilmente stanno avendo vita molto dura e che dovranno inventarsi qualcos’altro.

 

Tutto è politica in Italia, tutto e niente.

 

Nelle situazioni più difficili non è la politica che ti risolve la situazione, adesso arriveranno naturalmente i soldi dall’Europa, alcuni a fondo perduto altri da restituire, ho già sentito di tutto e di più – mille proposte insensate. Mi pare che l’ultimo dei problemi per loro sia la categoria dell’intrattenimento, e in parte sicuramente è meno importante rispetto alle infrastrutture o al lavoro  – che in questo momento manca. Ma è un settore del lavoro anche quello dell’intrattenimento e quindi è molto difficile sensibilizzare le persone e la politica, su qualcosa che tutti reputano effimero.

Infatti ti volevo chiedere tu da imprenditrice che lavora in questo campo, questo periodo come te lo sei vissuto, che cosa è successo per la tua agenzia, come vi siete organizzati?
Ma sai io come management non mi occupo solo di eventi e quindi mi sono dedicata ad altro: la produzione di nuova musica, TRX Radio appunto con tutti i contenuti che abbiamo svoltato da studio li abbiamo fatti diventare Zoom e hanno funzionato anche abbastanza bene. Poi mi sono dedicata a tutto quello che si poteva fare nel famoso smartworking, che l’Italia ha scoperto grazie al Covid.

 

Paola Zukar © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Tu gestisci il management anche di artisti emergenti: da un punto di vista umano come hai dovuto gestire la situazione con dei ragazzi che magari avevano iniziato a lanciare la propria carriera proprio durante il lockdown. Si sono scoraggiati?
Dipende da persona a persona, da emergente a emergente. Essendo dei ragazzi così giovani hanno un’altra percezione, si sono spaventati meno di noi, magari hanno fatto un buon lavoro anche i genitori. Però diciamo che non si sono persi d’animo, la vedono solo come una parentesi. Come una pausa dove magari far meglio le proprie cose e dedicarci anche un po’ più di tempo. Non l’ho vissuta male questa cosa perché non l’hanno vissuta male loro, anzi. Per esempio Madame ha lavorato tantissimo – ha prodotto molte tracce perché lei ha uno studio in casa quindi può farsi i suoi provini, ha fatto molte cose, e quindi ti dico la verità non penso se la sia vissuta male.

 

Paola Zukar © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Ti avevamo intervistata un paio di anni fa, e ti avevamo chiesto come mai ci fosse ancora così poco spazio nell’industria del rap per le donne, e tu ci avevi detto state tranquilli che a breve arriveranno anche loro. E avevi ragione tu. Secondo te che cosa è successo in questi due anni, come mai c’è stato questo exploit di rapper donna?

 

Secondo me il rap è proprio un’istantanea della vita quotidiana.

 

Di quello che succede ogni giorno e in questi mesi, in questi anni si sente moltissimo che le ragazze più giovani stanno cercando nuovi modi di esporsi e di esprimersi. Fra l’altro non potrà che migliorare ed aumentare questa cosa, credo che le ragazze di oggi non abbiano tante restrizioni, l’unica cosa che veramente le condiziona è la pressione sui social. C’è una repressione fortissima: devono parlare tutti nello stesso modo, vestirti tutti con gli stessi brand. Ma al di là di questo credo che stia venendo fuori un nuovo linguaggio per le ragazze, e non solo si espongono ma sanno anche difendersi.

 

Il gioco è un po’ lì: non è difficile mettersi in gioco e far uscire una canzone, il difficile è difenderla.

 

Come fa Madame, come fa Chadia, come fa Anna – per dirti – che è stata molto attaccata, e invece va avanti. Si è difesa la sua hit nonostante degli attacchi veramente tremendi. Che poi tutti mi dicono sempre: “Quella è raccomandata”, e vabbè raga fatela voi allora la hit se è così semplice, fatevi fare la raccomandazione e fate voi una hit virale. Tra l’altro non so quale raccomandazione intendano loro, ma non credo sia per niente raccomandata.

 

Oggi le case discografiche guardano tantissimo il numero dei social, quindi se sei in grado di far diventare la tua roba virale, vedrai che qualcuno ti chiamerà.

 

Secondo te questa cosa che le case discografiche guardano i social è positiva?
Bisogna mettere tutto questo in un contesto molto più ampio, quanto tempo prendono nella nostra vita i social media? Chiaro che non puoi ignorarli. Soprattutto i ragazzi che li usano massicciamente. Certo non bisogna diventare schiavi di quei numeri e di quel linguaggio e venire completamente risucchiati: anche perché poi diventa abbastanza degradante. Poi è tutto molto semplificato sui social: è tutto NO o SÌ. Non si può neanche litigare sui social, il mezzo non te lo consente. Poi – tranne che su YouTube – non c’è neanche il tasto dislike, ed è una bella fregatura perché vuol dire che anche l’interazione genera consenso. Anche se dici una cazzata ed è molto criticata, comunque vola, comunque ha “successo”, ed è una fregatura.

 

I social sono costruiti un po’ come il casinò: vincono sempre loro.

 

Quindi comunque sia tutto il trend dei dissing, delle storie, delle litigate, è un po’ fine a sé stesso, non porta niente di nuovo alla musica
In realtà tu prendi l’esempio degli artisti ma se vedi come li usano in politica… Gli artisti, in confronto, impallidiscono. 

Però allo stesso tempo quei numeri lì attirano il pubblico, alimentano la fan base, l’artista cresce a livello di fama e le case discografiche li mettono sotto contratto
Sì ma quanto durano?

 

Due anni fa si parlava di artisti che ora sono sconosciuti e non esistono nemmeno più. Andare avanti e durare nel tempo è un altro sport.

 

Paola Zukar © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Passiamo a TRX Radio: lì fate vera e propria divulgazione della cultura rap e avete coinvolto i nomi più grossi della scena. Come nasce il progetto?
Nasce dall’esigenza di avere almeno una radio completamente dedicata al mondo del rap. All’estero esistono già da tantissimo tempo, in Italia c’era questa anomalia – il rap va molto forte ma non c’è mai stata una radio tematica. In linea di massima cerchiamo di rappresentare tutto quello che la linea editoriale della radio ci consente di fare. Volevo che la gente la pensasse come la radio degli artisti, in questi ultimi mesi abbiamo spinto tutto e tutti, non sponsorizziamo solamente i nostri artisti.

La scelta della radio è abbastanza old school, nonostante poi abbia una sorta di parte digitale, come mai proprio la radio e non un canale YouTube per esempio?
Perché la radio è rappresentativa.

 

La radio come concetto non morirà mai.

 

Come mezzo ovviamente è datato, però come idea e meccanismo – io come radio intendo una persona che intervista un’altra persona, un momento in cui ci si parla – su YouTube sei costretto a mettere il video, la radio non ti obbliga a guardarla.

 

A me ha sempre affascinato, per me la radio è sinonimo di “curation”: una guida che ti possa ispirare. È vero che oggi hai tutta la musica a portata di mano grazie alle piattaforme streaming, però paradossalmente hai tutto e quindi non hai niente.

 

Ci vuole qualcuno che ti dica cosa ascoltare vista la mole di pubblicazioni.

 

Paola Zukar © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

È un progetto davvero interessante, mi piace che non si rimanga in superficie o sulle tendenza, e che si esplori anche l’aspetto storico del rap. Che riscontro state avendo dai più giovani?
I ragazzi sono davvero disabituati ad ascoltare la radio. Sono talmente abituati ad avere tutto subito che fanno fatica a sintonizzarsi alle nove di sera e ascoltarsi il loro podcast, ma non ci interessa andare contro corrente e cercare di invertire le tendenze.

Tornando alla questione dei concerti, cosa ne pensi dei live fatti in streaming durante il lockdown – da Post Malone a Travis Scott su Fortnite. Pensi possa essere un’alternativa per quest’anno, vista la situazione?
Un’alternativa no, solo un’altra cosa che un domani si aggiungerà e si affiancherà agli eventi. I live senza pubblico – o con un pubblico avatar – non sono concerti, anche se rimane il desiderio di partecipare a qualcosa. Devo essere sincera, Travis Scott mi ha entusiasmata, però lo vedo più vicino ad un videogioco che non ad un concerto.

 

Non puoi fare il rap incazzato che presuppone un riscontro del pubblico, e il pubblico non c’è. Manca l’esperienza.

 

Foto in copertina © Vito Maria Grattacaso / LUZ

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