Dalle ricerche Google allo shill bidding su Ebay, fino agli studi da Nobel: le aste fanno sempre più parte del nostro quotidiano. Lucia Visconti Parisio ci spiega come funzionano e i loro meccanismi.
È di ottobre la notizia della vittoria del premio Nobel per l’Economia da parte di Paul R. Milgrom e Robert B. Wilson “Per i loro studi sulla teoria delle aste e l’invenzione di nuovi formati di asta”. La notizia ha avuto una discreta eco per l’insolito video in cui Paul Milgrom viene svegliato nel cuore della notte da Robert Wilson che gli annuncia il premio, ma anche perché le aste, che ne siate o meno consapevoli, fanno parte della nostra vita.
Ne abbiamo parlato con Lucia Visconti Parisio, professoressa ordinaria di Scienza delle Finanze presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, per farci raccontare in che modo le aste sono parte del nostro quotidiano, perché l’essere umano ha sempre questa smania di “aggiudicarsi il premio” e come mai, oggi, gran parte delle risorse alle quale attingiamo sono governate dalle aste.
© Jeremie Souteyrat / LUZ
Innanzitutto, che cosa è un’asta?
È un metodo di allocazione delle risorse.
Alcune risorse sono “scarse”, cioè disponibili in quantità limitate, inferiori a qualsiasi prevedibile fabbisogno attuale o futuro. In economia la scarsità è alla base della formazione dei prezzi. Se le risorse sono scarse vanno allocate a chi offre le condizioni migliori nel mercato.
Le aste sono un metodo per decidere come allocare le risorse scarse: a chi darle e che prezzo deve pagare chi le ottiene.
Fammi un esempio.
Ti faccio un esempio in negativo: la lotteria. Non è un sistema efficiente di allocazione delle risorse perché tutti pagano lo stesso prezzo – il costo del biglietto – per ottenere un bene.
Le aste partono dal presupposto che il venditore vuole sì vendere il bene ma anche massimizzare il proprio ricavo: pensiamo alle aste d’arte.
Il problema è l’asimmetria informativa: chi vende un quadro non sa quali cifre i compratori sono disposti a pagare. L’asta è un modo per estrarre queste informazioni, mettendo in competizione i compratori e portandoli a esporre un’offerta di prezzo. Alla fine c’è un mutuo vantaggio perché chi vende, scegliendo l’acquirente che offre di più, venderà al massimo possibile e chi compra otterrà il bene pagando un prezzo che è al massimo uguale alla sua disponibilità a pagare. In questo caso si dice che l’asta è efficiente.
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Tu perché hai scelto questo campo di studi?
Ero alla University of York, a frequentare il Master of Science in Economics, e dovevo fare un saggio su un tema assegnato casualmente, a me è capitato il tema dei meccanismi d’asta. Lì è nata la mia passione, che continua tutt’ora. Ho intuito che il meccanismo d’asta ha infinite possibilità, è come un attrezzo nelle mani dell’economista.
Qualcuno che ha avuto la tua stessa intuizione di recente ha vinto il premio Nobel, ne parleremo. Intanto dimmi: in generale, cosa studia chi si dedica a questa materia?
Si studia la microeconomia, in particolare il funzionamento dei mercati , e la teoria dei giochi. Ma le aste sono nate molto prima degli economisti.
Il primo documento risale a Erodoto (primo libro delle Storie,) che parla delle aste per donne da marito nell’antica Babilonia: una volta all’anno nei singoli villaggi tutte le fanciulle in età da marito venivano radunate in un luogo. L’araldo pubblico, facendole alzare ad una ad una, le metteva in vendita, a cominciare dalla più bella. Quando questa, trovato un ricco compratore, veniva venduta, il banditore ne metteva all’asta un’altra. Al termine della vendita delle fanciulle più avvenenti, si passava ai compratori del popolo che prendevano quelle più brutte insieme a un compenso in denaro. Le brutte venivano destinate a coloro che si dichiaravano disposti a prenderle con la minor dote. Il denaro che veniva dato proveniva dalla vendita delle fanciulle belle, cosi le belle ragazze facevano sposare le brutte.
Il primo articolo di un’economista sui meccanismi d’asta è di William Vickrey, comparso nel 1961 sul The Journal of Finance. A seguire gli articoli più importanti sono stati scritti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80 proprio da Robert Wilson e Paul Milgrom – che hanno appena vinto il Premio Nobel per l’economia NDR. Oggi le principali applicazioni delle aste sono in economia.
Nella nostra testa l’asta è quella di Sotheby’s con l’opera di Banksy che si autodistrugge. Molti di noi credono di non aver mai partecipato a un’asta: è vero?
Non è possibile: inconsapevolmente credo che chiunque di noi vi abbia partecipato.
Ad esempio?
Ad esempio quando andiamo a cercare qualcosa su Google. Vado sul motore di ricerca e digito delle parole perché voglio cercare informazioni a riguardo.
All’invio sul “cerca” escono migliaia di risultati, ma io non sto a guardarli tutti perché questi risultati escono in un ordine, inoltre di solito mi fermo alla prima pagina di ricerca. Quando osserviamo queste informazioni e ne selezioniamo, cliccando, una o più di una stiamo partecipando ad un’asta.
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Spiegami meglio.
Laddove ci sia stato un accordo previo tra l’azienda proprietaria del sito su cui sono atterrata cliccando su un annuncio e Google, al mio clic fa seguito un pagamento da parte dell’azienda al motore di ricerca. Quell’azienda era lì, con il suo annuncio, perché ha “vinto” l’asta.
Non è casuale infatti l’ordine in cui compaiono i risultati di una ricerca: è quello che massimizza il ricavo della piattaforma.
Semplificando, il ricavo per Google è uguale al prezzo che un compratore (azienda con sito internet) offre per essere presente col suo annuncio, moltiplicato per il numero di clic che il sito del compratore riceverà. Ciò che è in vendita è la posizione migliore.
Se guardiamo gli ultimi dati disponibili sui ricavi di Google Search (98 miliardi di dollari nel 2019) e della pubblicità su Facebook (69,6 miliardi di dollari nel 2019), che basa molti dei suoi annunci su un meccanismo ad asta, ci rendiamo conto di quanto sia significativo il business. Dietro la costruzione di queste piattaforme c’è una buona base teoretica, ci sono modelli di aste che incentivano chi partecipa, i compratori, a mostrare la loro massima disponibilità a pagare.
E le aste al ribasso? Che aste sono?
Se io sono una ricercatrice e lavoro per una università e ho bisogno di acquistare un macchinario per la ricerca, ad esempio un microscopio elettronico, faccio una gara per scegliere il venditore.
In questo caso è chi vuole comprare che organizza la gara. Succede nella pubblica amministrazione quando si devono acquistare beni e sevizi. Dicevo, faccio un’asta e stabilisco una base d’asta, un prezzo al di sopra del quale non sono disponibile a comprare il bene, e poi vado al ribasso: vince l’asta chi è disponibile a darmi il bene al prezzo più basso rispetto alla base d’asta.
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Capisco, ma non c’è il pericolo che così facendo si aggiudichi l’asta a chi non offre il bene/servizio migliore?
In effetti sì. È un meccanismo che può funzionare soprattutto quando faccio una gara per ottenere un bene omogeneo, come una partita di penne nere. Ma per un servizio, come una mensa aziendale, o in un settore creativo, se vuoi ottenere un servizio di qualità devi essere disposto a pagare di più. Ecco perché quando la gara è su un bene non omogeneo si cerca di gestire le due dimensioni. Si aggiudica la gara chi ottiene il punteggio più alto per la sua offerta e il punteggio viene assegnato giudicando l’offerta nei suoi aspetti sia qualitativi sia economici.
Quali sono gli elementi che possono impedire alle aste di svolgere il loro compito? E in che maniera è opportuno difendersi?
Uno dei pericoli principali per chi organizza l’asta è la collusione: i partecipanti si mettono d’accordo per ridurre il grado di concorrenza. Se le aste sono ripetute, i partecipanti possono mettersi d’accordo per vincere a turno. O creare dei concorrenti fittizi.
Ecco perché chi organizza le aste deve sforzarsi di disegnare il meccanismo – le regole d’asta – nel miglior modo possibile per scongiurare questi episodi.
Nelle aste, ad esempio per opere d’arte, ma anche più in generale nelle aste online, il banditore può implementare manovre tese a stimolare la competizione come il phantom bidding/shill bidding: inventarsi offerte dal nulla solo per estrarre un prezzo più alto dai compratori.
E-Bay ha una policy che vieta lo shill bidding.
Un esempio positivo in questo senso?
È rappresentato proprio da un gruppo di economisti, tra cui Paul Milgrom che, partendo dalla teoria delle aste, ha contribuito a disegnare un meccanismo grazie al quale a partire dal 1994 negli USA sono state messe in vendita un gran numero di licenze su porzioni dello spettro elettromagnetico (per intenderci quello grazie al quale vediamo la TV digitale terrestre). Il meccanismo appositamente creato consisteva in un’asta simultanea multi-round che dava la possibilità ai partecipanti di competere per una sola licenza oppure per un pacchetto di licenze. Se pensiamo che in precedenza le licenze venivano allocate attraverso procedimenti amministrativi o tramite lotterie, si comprende immediatamente il cambio di passo. Il governo americano ha mostrato come una risorsa comune possa venire valorizzata , massimizzando il suo valore di vendita e allo stesso tempo selezionando gli acquirenti più affidabili tramite una procedura di ammissione rigorosa.
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Veniamo a loro: perché Wilson e Milgrom hanno vinto il premio Nobel?
Innanzitutto, entrambi sono stati pionieri pubblicando i primi lavori che hanno fondato la teoria economica delle aste. Poi, nel corso degli anni ‘80 sembrava si fosse arrivati a una summa.
Ma in quegli anni le esigenze del mondo reale hanno posto nuovi interrogativi agli studiosi, promuovendo il rilancio degli studi quali quelli che hanno portato alla nascita delle aste per lo spettro elettromagnetico, grazie a Milgrom, e ad altre esperienze di primaria importanza quali i mercati all’ingrosso dell’elettricità. L’energia è un bene particolare perché non è immagazzinabile e quindi va prodotta in tempo reale. Inoltre la domanda è sottoposta a diversi tipi di stagionalità, giornaliera (giorno/notte) settimanale (giorni lavorativi e fine settimana) e mensile (nel periodo estivo tipicamente abbiamo picchi di domanda a causa degli impianti di condizionamento).
Ecco che Robert Wilson e Paul Milgrom (suo allievo), insieme ad una schiera di economisti che nel frattempo si erano formati sulla teoria delle aste, hanno studiato il problema e proposto una soluzione inventandosi un altro mercato, quello della capacità di generazione. In sostanza si tratta di un’altra asta, parallela a quella primaria. È un’asta a cui partecipano i possessori di impianti. Questi ultimi ricevono un prezzo a fronte della loro disponibilità a produrre una certa quantità di energia quando necessario.
Penso che questa sia la migliore lezione che questi economisti premi Nobel ci abbiano lasciato: costruire una teoria che possa essere plasmata alle esigenze della vita reale.
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Perché siamo così attratti da questo tipo di meccanica, quella dell’asta?
Noi economisti abbiamo una visione dell’uomo che secondo me non è corretta: partiamo dal presupposto che l’individuo desideri continuamente massimizzare il suo benessere, che sappia sempre quello che vuole consumare e che voglia consumare il più possibile al minor costo.
Ma ci sono due problemi: il benessere non è misurabile e l’individuo non è perfettamente razionale.
La teoria delle aste è uno dei capitoli della teoria economica dove il modello di homo economicus manifesta le sue imperfezioni.
Sono stati svolti degli esperimenti di laboratorio facendo partecipare degli individui a un’asta inducendo dei valori e dando loro un budget da spendere. In quella situazione capitava ad esempio che le persone facessero “overbidding”, cioè offrissero di più del valore economico che essi attribuivano al bene messo all’asta. Tutto per il solo obiettivo di dire di aver vinto. Non c’è una spiegazione fondata sulla razionalità economica per questo. Nelle aste per oggetti d’arte si parla di auction fever per descrivere queste situazioni.
È qui che la teoria economica standard mostra il fianco proprio per l’incapacità di osservare le scelte dei singoli nella loro imperfezione e irrazionalità. E arriva l’economia comportamentale: quella branca che descrive i fenomeni finanziari applicandovi i principi della psicologia, che influenzano sistematicamente le nostre decisioni.
Foto di copertina © Claudio Verbano / VISUM / LUZ