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La pace è finita

“Teoria della classe disagiata” raccontava velleità e illusioni di una generazione: adesso Ventura racconta un intero ordine in disfacimento. Il nostro

di Gabriele Ferraresi

Nato a Milano nel 1983, Raffaele Alberto Ventura vive a Parigi e per otto anni della sua vita ha lavorato su un libro che in futuro sarà riconosciuto come il migliore ritratto di chi ha trent’anni negli anni ’10: Teoria della classe disagiata.

Pubblicato nel 2017 da Minimum Fax, il testo di Ventura ha messo davanti agli occhi di molti velleitari “troppo ricchi per rinunciare alle proprie aspirazioni, ma troppo poveri per realizzarle” tutte le contraddizioni di un percorso di vita destinato, non per colpa loro, al downgrade esistenziale.

A maggio 2019 è arrivata in libreria la prosecuzione con gli stessi mezzi della Teoria, sempre per Minimum Fax: è La guerra di tutti “un viaggio tra le rovine sontuose della società del benessere, dalla post-verità alla post-politica” che allarga il campo dell’analisi dal personale al collettivo, puntando lo sguardo sul nostro ordine in disfacimento. 

Teoria della classe disagiata è un libro simbolo di questi anni: è andato così bene che hai potuto permetterti di tirare il fiato e mettere in pausa il tuo lavoro quotidiano
Sì, avere guadagnato qualche soldo mi ha permesso di finanziare un periodo di studio per scrivere. Mi mancava molto poter andare in biblioteca e fare vera ricerca, visto che ogni volta che ricevo una critica a un libro – per Teoria sulla mancanza delle note, per esempio, o sulla bibliografia – non posso che rispondere ¯\_(ツ)_/¯.

 

Dalla Teoria sono passati due anni: come vanno le cose per la classe disagiata?
Di sicuro meglio non vanno.

 

L’approccio che ho cercato di avere in quel libro era di lungo periodo, le cose che analizzavo le inquadravo in una prospettiva almeno ventennale per collegarle anche al boom economico del dopoguerra e alla storia del capitalismo. Anche perché parlando di tendenze di lunghissimo termine ovviamente c’è meno rischio che cambino.

Ti danno del pessimista: ma non è che semplicemente non siamo più abituati alla franchezza? Ai tempi Teoria della classe disagiata mi era sembrato un libro-constatazione, realista
Ovviamente sono d’accordo, dal mio punto di vista mi pare di essere onesto! Si potrebbe dire realista, e in un’epoca in cui anche il realismo è stato decostruito in maniera proficua – penso a Mark Fisher che dice “Attenzione, il realismo è una forma di complicità con lo status quo” – credo di avere una specie di pessimismo anche abbastanza sereno e non per forza distruttivo, un po’ ironico.

 

rav raffaele alberto ventura guerra tutti intervista

Raffaele Alberto Ventura © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Hai trovato nelle tue ultime letture motivi di ottimismo?
Non ho trovato argomenti ottimisti che mi abbiano convinto, e li ho cercati, magari nella letteratura economica più radicale o impegnata. Penso a Postcapitalismo di Paul Mason, o ai libri pubblicati da NOT sull’accelerazionismo, mi sono sembrati libri molto deboli. Li ho letti cercando una rassicurazione, ma non ho trovato soluzioni solide.

A proposito di rassicurazioni: nei mesi scorsi in Italia si è discusso moltissimo del reddito di cittadinanza, che idea ti sei fatto?
Il reddito di cittadinanza in sé non mi pare una cosa contestabile, sicuramente va ad agire su un problema di povertà che in Italia c’è, ma non risolve il problema di fondo della classe disagiata per come l’avevo strutturato.

 

Puoi riassumerlo in breve?
In maniera un po’ paradossale il problema della classe disagiata – la classe media, la borghesia impoverita – non è l’assenza di risorse, ma un eccesso relativo di risorse che tutti usano gli uni contro gli altri per competere sul mercato del lavoro. 

 

In che modo?
Per esempio competendo accumulando titoli di studio o acquistando materiale professionale, pensa al mondo della fotografia per esempio. La mia ipotesi è che ci sia uno scarto tra un eccesso relativo di risorse e la mancanza di opportunità di investimento: questo scarto crea una guerra di tutti contro tutti nel mondo professionale. Misure come il reddito di cittadinanza non vanno certo a risolvere il problema.

A proposito di futuro invece, Stefano Quintarelli sull’automazione mi aveva detto: “È come il sesso per gli adolescenti: tutti ne parlano, nessuno lo fa e tutti sono convinti che quando lo faranno sarà bellissimo”. Il dibattito per ora mi sembra piuttosto naïf a riguardo
Sono d’accordo. Se frequenti i testi di riferimento per una vera azione politica, il libro di Srnicek e Williams [Pretendi il futuro, ndr] è veramente molto leggero, alla pars construens dedica poche pagine, perché poi ci rifà tutta una storia contro il capitalismo che abbiamo sentito mille volte.

 

rav raffaele alberto ventura guerra tutti intervista

Raffaele Alberto Ventura © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Che cos’è La guerra di tutti?
È il ritorno alla formula fondativa del pensiero filosofico politico moderno, a Thomas Hobbes. È l’idea che la società e la politica nascano per arginare un conflitto “tutti contro tutti” che si configura in assenza di poteri.

 

La mia idea era di andare ad analizzare il cospirazionismo, il populismo, il terrorismo, le rivolte di piazza, le identity politics, tutte le tensioni che il corpo sociale affronta in uno scenario dove negli ultimi quindici anni è come se si fosse dissolto il legame che limitava i conflitti tra gruppi, minoranze, religioni.

 

Quali sono i sintomi di questo scontro?
I sintomi della guerra di tutti possono essere il salvinismo, ma anche in un certo senso il grillismo – il MoVimento 5 Stelle ha da sempre un approccio conflittuale alla politica – ma possono essere le elezioni di Trump, i gilet gialli in Francia, il terrorismo.

Una guerra che in senso stretto non comincia mai?
Questa guerra permanente non diventa mai davvero guerra civile perché in realtà produce qualcosa di non direi peggiore, ma di abbastanza spiacevole: una società che è quotidianamente impegnata a evitare la guerra civile e quindi a sviluppare meccanismi di sicurezza, controllo, repressione.

Questa sublimazione è un pericolo?
È un tema centrale di questo libro, che io strutturo opponendo i concetti di catarsi e di mimesi. La catarsi permette di sfogare le passioni, la mimesi è il meccanismo che porta a imitare. Da un lato di fronte a un discorso di Salvini potremmo dire che è un modo in cui la xenofobia latente della società italiana viene filtrata e sfogata, in questo senso potremmo quasi dire che ha una funzione positiva. È stata la funzione della Lega per vent’anni. 

Ma c’è qualche controindicazione
Sì, non fosse che in questa funzione apparentemente positiva c’è qualcosa d’altro: alza l’asticella di ciò che è permesso. Ed è come se ogni sistema di catarsi, di segni che permettono questo sfogo, lasciasse quello che io chiamo residuo mimetico.

 

È come una droga che risponde a una tua domanda lasciando un margine di assuefazione, che fa sì che la volta dopo tu abbia bisogno di più droga sennò il meccanismo di sfogo con la catarsi salta.

 

Spararla sempre più grossa e poi più grossa ancora: da Salvini a Trump è diventata la norma. A che punto siamo oggi?
Oggi è come se il meccanismo catartico fosse entrato in tilt. La violenza che era arginata nella società attraverso le finzioni, le rappresentazioni, i segni, le parole, le chiacchiere, Bossi che a suo tempo diceva “Prendiamo i fucili”, Beppe Grillo, eccetera, oggi la troviamo al potere e fuori controllo. 

 

rav raffaele alberto ventura guerra tutti intervista

Raffaele Alberto Ventura © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Giovanni Orsina ne La democrazia del narcisismo racconta come all’origine del rancore attuale di ampie fasce della popolazione ci sia l’implicita promessa di felicità tradita dalle democrazie occidentali. Vedi qualcosa in comune con La guerra di tutti?
Nella crisi del modello assimilazionista repubblicano per esempio. Nel momento in cui hai un’economia in espansione che dà a tutti delle opportunità, la gente abbandona la propria comunità e vuole entrare nell’universale, trovarvi gratificazione. A lungo termine possiamo anche immaginare che tutti vengano assimilati e trovino riconoscimento e realizzazione.

Questa cosa però non funziona più
Nel momento in cui questo sistema si inceppa la promessa della società liberale non è più mantenuta. È successo a molte minoranze che sono arrivate in Francia cui si è promessa l’emancipazione dicendo – “Andate a scuola, studiate, sarete come noi” – ma l’integrazione non c’è stata.

 

Le ineguaglianze sono rimaste e quindi si è proposto a queste persone uno scambio che non aveva nessun vantaggio. A quel punto le persone si sono ripiegate nelle loro comunità attraverso un meccanismo opposto a quello dell’assimilazione, quello della dissimulazione.

 

Tornando a quelli che la sparano sempre più grossa: fino a quando si può alzare l’asticella?
Forse la si può alzare anche all’infinito, ma a lungo andare il problema è che va in crisi l’idea che si possa amministrare un unico territorio imponendo a una popolazione la volontà di una maggioranza. È un meccanismo che funziona se hai una società uniforme, che si dota delle stesse leggi e le condivide.

Nella guerra di tutti c’è chi mira a destituire il potere nel suo complesso, penso al Comitato Invisibile in Francia, che ha cercato di intestarsi la rivolta dei gilet gialli
L’idea che si possa destituire ogni potere – o che destituendo il potere statale poi rimanga un vuoto – mi sembra un terribile errore politico di cui oggi vediamo le conseguenze.

 

rav raffaele alberto ventura guerra tutti intervista

Raffaele Alberto Ventura © Vito Maria Grattacaso / LUZ

 

Il vuoto creato per esempio dal MoVimento 5 Stelle in Italia abbiamo visto come è stato riempito: visto che la natura aborre il vuoto, questo vuoto è stato subito riempito dall’offerta politica ideologizzata e più forte della Lega. Il grande risultato del M5S è stato prendere un elettorato, metterlo sul vassoio, e servirlo a Salvini che si è fatto un selfie mentre lo divorava. 

A sinistra che scenario vedi?
Penso che la sinistra oggi abbia un problema strutturale che è indipendente dalle persone. Non ha voluto prendere atto dell’esaurimento del ciclo capitalistico occidentale del dopoguerra, né della peculiare situazione italiana di declino strutturale dagli anni ’70 a oggi. Questo declino c’è, andrebbe affrontato, forse l’unico partito che accenna un’analisi da questo punto di vista anche se in maniera ipocrita e sbagliata è il M5S quando parla di decrescita.

Percepiscono qualcosa: però male
Vogliono la botte piena e la decrescita ubriaca. Sostanzialmente vogliono la decrescita, ma appena va in crisi qualche diritto acquisito si arrabbiano.

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