Roberto Recchioni racconta: “La fine della ragione”, il fumetto, il disegno come gesto intimo e istintivo, il lato peggiore dei social e il gusto per la polemica
È difficile oggi leggere un fumetto senza imbattersi in qualcosa scritto da Roberto Recchioni: e lui tiene molto a dirvi che la cosa gli piace. Curatore di Dylan Dog su investitura di Tiziano Sclavi, prolifico autore di fumetti da anni, scrittore per Mondadori, illustratore.
Spigoloso sia nel carattere che nell’apparenza, Recchioni sembra trovarsi perfettamente a suo agio sui social media, nonostante sia spesso al centro di polemiche violentissime, in cui però raramente si scompone.
Proprio i social media e la deriva populista, xenofoba e oscurantista che hanno svelato sono al centro de La Fine della Ragione, fumetto in libreria per Feltrinelli. Di che parla? Di un mondo che è andato avanti e in cui “uno vale uno” fino alle estreme conseguenze, ci si cura con l’omeopatia, e gli scienziati vivono nascosti sotto un monte. Un futuro post-razionale in cui una madre decide di sfidare le convenzioni per curare suo figlio.
Cominciamo con una domanda che secondo me non ti ha fatto nessuno: cosa ti piace mangiare?
Sono un maniaco di cucina romana, che cucino benissimo.
Ti ho visto fotografare orologi, moto, vestiti firmati, fumetti, ma mai un piatto
No, lo detesto, non l’ho mai capito il foodporn, ho lavorato da ragazzino in una rivista in cui mi spiegarono quanto fosse difficile fotografare il cibo facendolo apparire bello. Quando vedo le foto dei piatti fotografati mi sembrano orrendi. Però adoro la cucina romana e la cucina orientale.
Al Giappone devi tanto, oltre alla cucina
Io sono del 1974, della generazione che si è presa in faccia i cartoni animati e di rimbalzo la cultura giapponese. C’erano un sacco di cose che vedevi nei cartoni animati e ti rimanevano addosso e volevi saperne di più. Poi sono arrivati i manga, prima con la Granata poi con Star Comics, e tanti artisti che poi sono stati formativi per me erano a loro volta appassionati del Giappone. Andrea Pazienza praticava il kendo, Frank Miller aveva fatto Ronin e il Wolverine con Claremont, quindi c’erano tantissime influenze giapponesi attorno a me. Da Miller sono arrivato a Lone wolf and cub che è uno dei miei fumetti preferiti di sempre, il kendo sono finito a praticarlo anche io, arrivando al primo dan anni fa e adesso voglio riprenderlo. Alcuni aspetti della filosofia giapponese, sia in generale sia legata alla pittura sono molti vicini al mio modo di intendere i fumetti.
Parli proprio gesto tecnico?
L’idea del gesto perfetto, ripetuto un milione di volte finché non diventa parte di sé stessi, tanto che alla fine viene eseguito in maniera automatica e istintiva. Nel kendo per esempio, che è un’arte marziale che si basa su quattro gesti, devi ripetere all’infinito gli stessi movimenti finché riesci a farli senza pensare.
La stessa cosa si applica nella pittura giapponese. Quando ci lavori non puoi andare piano o fare gesti controllati, devi muoverti velocemente e se non va bene butti tutto, non ritocchi.
Questo è un insieme di cose che ti porta ad avere un’estrema formalità che diventa intima, diventa istinto. Quello è l’obiettivo finale. Igort diceva che in Giappone ha scoperto che nella quantità c’è la qualità.
Questa è una cosa che hai sviluppato nel tempo, ma che è tornata fuori l’anno scorso con un paio di viaggi, no?
L’anno scorso per caso sono andato due volte in Asia a distanza ravvicinata. Una volta a Tokyo e una volta a Seoul e la mia voglia di utilizzare questo stile è riesploso brutalmente. Quindi ho ricomprato un set di pennelli giapponesi, chine (anzi, me le faccio da solo), carta. Nel frattempo ho ricominciato anche a fare un’attività che non pubblicizzo molto, da illustratore, che ha contribuito al riemergere di questi temi.
Le passioni improvvise mi sembra siano un po’ il modo in cui vivi tutte le cose. Quando qualcosa ti piace devi assorbirla in ogni suo aspetto. Se ti prendi la moto curi il design in modo maniacale, il videogioco lo devi spolpare e così via
Oggi si parla tantissimo di cultura nerd e quasi sempre a sproposito, ma alla fine il nerd è quello che prende una cosa, qualunque cosa, possono essere i supereroi, i videogiochi, gli orologi, e la fa diventare un’ossessione di cui devi sapere tutto. Se vai su un forum di orologi da quarantamila euro tu in teoria stai leggendo cose di gente coi soldi lontanissima da me, ma mi interfaccio perfettamente con loro perché il loro grado di ossessione è comune al mio. Vedere persone che litigano per decidere se è meglio Omega o Rolex non è assolutamente differente dalla diatriba DC contro Marvel, ne parlano con lo stesso grado di aggressività. Il bello delle ossessioni però è che ti creano delle competenze, che puoi riutilizzare nel mondo del lavoro.
La ricetta per riuscire in qualcosa passa sempre dall’eliminare tutto ciò che non riguarda la propria ossessione?
Io dico sempre che se vuoi fare qualcosa e quel qualcosa non ti ossessiona al punto di rovinarti la vita, di non incasinartela almeno, è difficile che tu ottenga dei risultati degni di nota. Se tu guardi la storia di tutti i grandi chitarristi del mondo dicono tutti la stessa cosa: che hanno passato la giovinezza a suonare tutto il giorno e questo col tempo porta alla perfezione del gesto. Va anche detto che il punk ci dice di fare come ci pare senza pensarci troppo. Una cosa che mi piace molto eh? Ma del tutto diversa.
Roberto Recchioni © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Però tantissime persone si ossessionano a qualcosa e non riescono comunque
Guarda, io ho sempre un po’ di dubbi su chi mi dice “Sono un grande appassionato“. Quando mi capita di parlare con qualcuno che si professa grande appassionato di cinema, poi scopro che il suo parametro di grande appassionato e il mio parametro di grande appassionato sono radicalmente diversi. Lui ha visto 100 film e io 10.000. Ma non è che io sono migliore. Se parli con Gipi del mestiere del disegno ti troverai di fronte a una persona che è totalmente ossessionata da quello che ha fatto e che ci ha speso la vita. Per arrivare a quel grado di controllo dell’acqua che ha lui non ti può solo piacer disegnare, è un’ossessione.
Non ce l’hanno tutti
Quando parli con tanti “aspiranti” che vogliono arrivare a fare qualcosa scopri che su cento solo uno ha quel reale grado di ossessione. Dev’essere qualcosa che ti crea dei problemi nella vita. L’appassionato ha dei parametri diversi dai maniaci ossessivi. Ho un’amica che è una illustratrice Disney a livelli stratosferici e penso che se non avesse trovato un modo di sfogare quel tipo di ossessione sarebbe diventata Rain Man.
Come si applica questa ossessione al tuo lavoro?
L’ossessione delle storie per me è la chiave, me ne rendo conto con le persone che ho attorno. In certi periodi sembra che sto con loro, ma in verità sono da tutt’altra parte. Il che non vuol dire che non sia funzionale, ma lo sono come un robot, sorrido, rispondo, ma la testa sta all’80% da un’altra parte. C’è un bellissimo documentario su Netflix di uno dei più grandi cuochi di sushi. All’inizio del documentario suo figlio dice “Mio padre per 60 anni ha ripetuto esattamente gli stessi gesti ogni giorno della sua vita“. Questo crea dei problemi.
È andata così anche con La Fine della Ragione?
Se penso alla lavorazione de La Fine della Ragione è stato un periodo folle. Al di là dei tempi stretti, avevo sei mesi per realizzare tutto il libro. E un libro comporta mesi di follia. Ortolani aveva fatto una bella storia in cui parlava di quanto il fare fumetti gli creasse dei problemi in famiglia e di quanto fosse fortunato ad avere una moglie comprensiva. Ogni fumettista che lavora a quel livello e con quella intensità si è riconosciuto in quelle pagine.
Però La Fine della Ragione è stato difficile anche perché il tuo stimolo per lavorare è arrivare sempre a ridosso delle scadenze. Il tuo racconto personale è quello di uno che si trova di fronte a un drago e lo ammazza con lo stuzzicadenti
Sì, non riesco a lavorare se non sono sotto pressione. Perdonami se uso un termine che mi fa ribrezzo ma ogni artista, ogni creativo ha il proprio metodo. Alcuni hanno bisogno di una serenità e una tranquillità totale. Moebius disegnava solo con la luce del giorno sul tavolo. Se era nuvoloso o era sera non faceva niente e verso la fine preferiva farlo direttamente in giardino.
Altri, come me non riescono a lavorare se l’impresa non è disperata. Se non ho la pressione della consegna so che le cose che faccio con tranquillità mi vengono peggio di quelle che faccio di corsa.
Se penso ai due YA, il secondo, che è più lungo e secondo la critica anche migliore, è stato fatto nella metà del tempo del primo, con la disperazione addosso che non sarei mai riuscito a rispettare la consegna. Mi sa che al prossimo mi prendo ancora meno tempo. Che poi alla fine diventa anche una droga, una sorta di rush di adrenalina.
C’è anche un po’ di ego in questa cosa no?
Non so se c’è dell’ego, diventa una sorta di sfida. Però sì, alla fine l’ego c’è, perché di senti un supereroe che, nonostante tutte le difficoltà, compie la missione. Tendenzialmente lo dimostri a te stesso, se dici agli altri che è fatto in poco tempo pensano che l’hai tirato via!
Però va anche detto che fai così tante cose che il tempo non si sa dove lo trovi: i libri con Mondadori, Dylan Dog, il Corvo, tutte le altre cose che scrivi, progetti di cui di sicuro non sappiamo niente e poi serie tv da vedere, videogiochi, film. C’è altro?
Mi piace l’idea che qualcuno entra in libreria e in un modo o in un altro si trova di fronte a qualcosa che ho fatto io. E poi mi piace l’idea di essere sostanzialmente libero da un solo padrone, di essere più ronin che samurai. Perché se lavori sempre e solo per la stessa persona perdi alcune capacità fondamentali per lavorare oggi. Ci sono persone che fanno solo ed esclusivamente progetti per Disney e Bonelli, il giorno che per qualche motivo si trovano per strada cosa fanno? Non voglio essere così.
Parliamo de La Fine della Ragione, cosa nasce prima? Un segno? Un’idea? Un titolo?
Prima è nata l’incazzatura. Io sono uno che ama tantissimo Facebook e i social, non sono uno che pensa siano stati i social a rendere brutta la gente, penso che è la gente a rendere brutti i social. Facebook è un coltello con cui tagli il pane o ammazzi una persona. Mette in risalto sacche di persone che una volta non vedevamo e oltretutto le mette in contatto. Non c’è più la vergogna dell’ignoranza. Quando vediamo qualcuno che dà il peggio di sé senza vergogna pensiamo che non ci sia niente di cui vergognarsi nel dire che gli immigrati andrebbero bruciati. A poco a poco si creano queste sacche di persone orgogliose di essere mostri. Fin qui sarebbe tutto normale, è la “gggente” con tre G. Il problema vero è che le forze politiche una volta esercitavano una funzione di ragionevolezza, indipendentemente dal colore, non cavalcavano gli istinti peggiori. Oggi non solo li cavalcano, ma li fomentano. Non dovrebbe essere così, il politico dovrebbe spingersi a una riflessione meditata, oggi però costa fatica.
Roberto Recchioni © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Da dove parte tutto questo?
Arriva da lontano, dalle scuole, che non insegnano più a capire i testi. La gente non capisce ciò che legge. Non c’è una spinta alla riflessione strutturata, ma verso esternazioni non meditate. Dovremmo ricominciare a insegnare alle persone a leggere e a capire ciò che leggono. Magari poi scriveranno con maggiore consapevolezza.
Quindi il libro nasce da qua, dalla nostra parte peggiore
Nasce dall’osservazione di questi due fenomeni. L’emergere di qualcosa che c’era già prima e il cavalcarli delle forze politiche. Se penso a quello che la Raggi ha fatto poco tempo fa con l’ordinanza sui bambini non vaccinati nelle scuole, vedo un atto criminale sulla pelle delle persone per una manciata di voti. Penso che sia un atto irresponsabile e gravissimo, però andiamo in quella direzione. Ricordiamo le liste di giornalisti di Grillo… eppure nessuno ha detto chiaramente che Grillo è un criminale. Ha messo in discussione la libertà di stampa in un movimento ultrapopulista, peggio di così non si poteva fare. Il popolo dovrebbe essere sempre a favore della libertà di stampa no? Vedi tutto questo e ti vengono i brividi. Da questa incazzatura è nata l’idea di scriverne qualcosa che andasse al di là di uno stato di Facebook. Un libro fortemente politico, anche perché Feltrinelli è una casa editrice che ha una rilevanza reale nella cultura e nella politica italiana.
Feltrinelli è in effetti da sempre schierata in un certo modo
Che poi non è neanche il mio, quando mi chiedono dico sempre “anarco-capitalista” o “fascista-zen” come Milius. Ho un credo politico molto specifico e canonico che in Italia non è molto rappresentato, però di fatto Feltrinelli resta perfetta per il tipo di libro che è. Poi sono arrivate le elezioni, Salvini e i Cinque Stelle hanno rimesso sul piatto la questione dei vaccini e tutto sembra fatto apposta per generare la tempesta perfetta. In questo sono stato senza dubbio fortunato.
E fin da subito hai pensato di far tutto da solo?
L’idea di disegnarlo da solo è partita cercando di farla facile, poi è arrivato il trip asiatico, è tornata la voglia di carta e di analogico ed è venuto così. Per l’80% è materiale realizzato alla vecchia maniera e il resto in digitale.
La Fine della Ragione è un libro che non cerca un dialogo con la controparte
Il libro è molto istintivo, non è un libro che vuole insegnare niente a nessuno. Io sono spaventato e volevo creare un libro molto diretto che dicesse “Andatevene affanculo“, ma non nel senso grillino del termine. Per me quando qualcuno va ad abiurare i fatti, la scienza e il sapere abbiamo un problema.
Un concetto che viene fuori nella frase “Non devo provarlo, mi basta negarlo”
Esatto, loro non devono provare niente, negano i fatti. Quando vai a negare i fatti non credo ci sia modo di dialogare. Se vai a mettere in discussione la scienza è finita. C’è una frase che amo molto nel libro “La scienza non solo ci ha donato le stelle, ci ha anche permesso di accenderle” e tu di fronte a una cosa del genere mi vieni a dire che i professori sono il male, che gli esperti sono il male…
È la rivincita di persone orgogliose di non aver studiato, che pensano ci sia una qualche qualità nel non sapere niente e secondo cui chiunque si sbatta per capire, analizzare e fare qualcosa è il male.
Ho letto i commenti i commenti sotto il video del decollo del Falcon Heavy di Musk…
Ahia
Quando senti gente che dice “A che serve?” ti prende lo sconforto. Quell’uomo ha mandato due razzi in orbita e li ha fatti riatterrare, vedi di fronte a tutto il nostro futuro, vedi la possibilità di arrivare su Marte in tempi accettabili e tu chiedi a che serve? Avevano detto che ci sarebbero voluti dieci anni e siamo avanti sulla tabella di marcia! Questo è un momento storico che verrà studiato nei prossimi anni e qualcuno lo critica, magari da un cellulare che alla fine è stato sviluppato con tecnologie nate per i voli spaziali. Quindi no, non voglio avere un dialogo con queste persone, perché non c’è niente da dire a queste persone. Sono i villici dei film horror con torce e forconi.
Però ne La Fine della Ragione gli scienziati non ci fanno una bella figura, si rifugiano sotto una montagna e chiudono il mondo fuori. Non è forse anche colpa di chi non ha saputo parlare a queste persone e intercettare un problema?
Assolutamente sì, i sapienti non ne escono bene. Però possiamo dare la colpa ai politici che cavalcano l’orgoglio ignorante, alla scienza che ha deciso di non comunicare e di far cadere le cose dall’alto, usando un linguaggio pensato per mantenere dei privilegi che una volta erano quelli del latino… possiamo dare la colpa a tutti, ma alla fine se preferiamo risposte semplici a problemi complicati e non viceversa è anche colpa nostra. Non possiamo scaricare tutto sugli altri.
Da dove si riparte?
Dalle scuole, perché è la scuola il vero problema. In tutti i programmi elettorali non viene mai nominata, ci hai fatto caso?
Com’è stato il tuo rapporto con la scuola?
L’ho lasciata appena finito il liceo e onestamente dalla scuola non ho appreso niente. Se non un trattato sul bullismo. Tutto ciò che so di letteratura l’ho appreso dalle librerie di mio padre e mia madre, tutto ciò che so in assoluto l’ho appreso dalla mia curiosità. Se una cosa mi piaceva risalivo alla fonte. Quando dico che il problema è nelle scuole parlo di qualcosa di radicato nel tempo, non ti insegnano ad amare la letteratura o la storia. La storia è una cosa meravigliosa, ti spiega il mondo in una maniera bellissima. Se la studi il mondo di oggi è infinitamente più semplice da decodificare. Noi è già tanto se arriviamo alla Seconda Guerra Mondiale, come fai ad analizzare l’oggi quando studi male le Guerre Puniche o ti forzano a leggere un libro? La letteratura non può essere un compito, ancora oggi tantissimi non sopportano i libri per questo motivo. La letteratura è la prima forma di intrattenimento. Come abbiamo fatto a trasformare l’intrattenimento in qualcosa che dobbiamo odiare?
Roberto Recchioni © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Poi ci sono quelli che invece vedono la cultura iniziare e finire in un “buon libro”
Sì è una retorica che ha una doppia valenza, da una parte ti dicono che la letteratura è scolastica, imposta e odiosa, dall’altra è sempre buona. Sempre una roba che sta sopra di te. Ti dicono “lascia il cellulare, leggi un buon libro“. A parte che ci sono pessimi libri e magari sul cellulare sto guardando contenuti fantastici, ma soprattutto non dobbiamo fare l’errore di passarla come una roba “alta” che ti deve innalzare. Vedo tanta roba in TV e non è che ogni volta mi elevo, le guardo per intrattenimento. La gente guarda le serie TV per divertirsi, poi magari vede i Soprano e insieme scopre una scrittura meravigliosa. Se vede Breaking Bad trova una profondità letteraria fantastica. Però nessuno ti dirà mai “Guarda Breaking Bad perché ti rende una persona migliore“, la guardi perché è una serie figa!
Però è anche colpa di tutta questa sovrastimolazione di serie TV e contenuti a getto continuo un po’ mediocri, forse
Il problema è che la cultura televisiva di Netflix è spesso fatta con budget ridotti che impattano non tanto sulla scrittura, quanto sulla messa in scena. Il linguaggio visivo diventa dunque molto più semplice e facile da decodificare. Perché le fiction Rai sono spesso noiose da vedere? Non è che in Rai non c’è gente che saprebbe farle, ma il loro linguaggio dev’essere decodificato da un pubblico di ogni tipo e più alzi il livello meno un pubblico disattento capisce. Magari non coglie due momenti separati che si svolgono sullo stesso piano temporale, quindi c’è sicuramente una tendenza al livellamento verso il basso.
Con delle eccezioni
Game of Thrones stagione dopo stagione ha innalzato tantissimo il suo linguaggio visivo che era partito da zero, mentre ora c’è tanto cinema. La cosa gravissima secondo me non è come guardiamo Netflix, alla fine è televisione, ci sta, il problema è quella educazione visiva viene mutuata al cinema. I film Marvel hanno un linguaggio che è prettamente televisivo, non a caso uno dei loro autori di punta è stato Whedon, che è uno che pensa con in testa il piccolo schermo, e non sviluppa un discorso più ampio. Il cinema dovrebbe essere qualcosa che ti spinge visivamente sempre più avanti, invece i cinecomics sono quasi sempre finti blockbuster che giocano al ribasso.
Ma non pensi che questo ribasso sia dovuto anche all’allargarsi del pubblico che apprezza i cinecomic e tutta una serie di ex-nicchie?
Certo, con l’allargamento del pubblico nerd siamo vivendo una dittatura fortissima. Quelli della mia generazione in poi – una volta lo dicevo con orgoglio, ora molto meno – sono quelli che per la prima volta hanno dato molta importanza a cose che le generazioni precedenti trattavano come passatempi. Da questo siamo passati al diventare quelli col portafoglio, quelli che devi rendere contenti, e a poco a poco siamo arrivati a una globale nerdizzazione dell’offerta dell’intrattenimento. Questo ha portato la parola nerd a perdere di senso e nel contempo si è trasformata in una dittatura al contrario.
L’altro giorno leggevo dei fan DC che vogliono boicottare Black Panther su Rotten Tomatoes per vendicarsi delle recensioni negative a Justice League: è questa la dittatura?
Sì, ma è anche una reazione alla polarizzazione del pubblico creata da entrambe le parti. Il manager di Elvis diceva che aveva fatto il primo milione di dollari vendendo spillette con scritto “I Love Elvis” e gli altri dieci vendendo quelle con scritto “I Hate Elvis”. Rolling Stones contro Beatles, Blur e Oasis, la polarizzazione funziona sempre.
Quello che fa paura è che le major in questo momento non riescono a fare pace con la risposta social e la sua decodifica. Quando vedono qualcosa che ha una risposta particolarmente negativa, a volte ancora prima che quella cosa sia disponibile, cambiano per andare incontro ai gusti del pubblico.
Quindi i film vengono rimontati, vengono girati di nuovo, i registi diventano intercambiabili durante la lavorazione, i like cambiano le sceneggiature e basta un trailer che non piace per cambiare tutto. La DC sono dieci anni che va a caso, prima fa film autoriali, poi cerca di andare verso la Marvel e sta ancora cercando di capire come ha azzeccato il successo di Wonder Woman, anche se lì entrano in gioco altre questioni. Ma pensa anche alla Microsoft che cambia console un attimo prima di annunciarla per colpa delle critiche e poi finisce tutto in un disastro. Che poi per carità, anche io sono carne da cannone e sono il primo produttore di ogni cosa possibile e spesso scrivo le mie opinioni.
Sei anche un produttore, ti consideri una persona attenta a ciò che viene detto sui social del tuo lavoro?
Dipende dal tipo di produzione. Sei fai una cosa come Orfani, con quei costi di produzione e quelle ambizioni allora ti trovi di fronte a un prodotto pensato più o meno con il bilancino. Quando dico più o meno vuol dire che in fase progettuale tu pensi tutto, poi in fase artistica certe volte la tua parte narrativa finisce per sabotarti e ti ritrovi un fumetto più politico di quello che pensavi, più negativo. Senza dubbio è complicato, ma è anche vero che però dovrebbe esserci sempre una parità tra il reparto artistico e il reparto marketing e anche un sano conflitto. Se vince solo il marketing le opere escono fuori troppo costruite.
Ma c’è anche qualcuno che fa ciò che vuole senza l’ansia del pubblico?
Nintendo, fa quel cazzo che vuole, a volte gli va bene a volte male, ma lo fa. Il messaggio fantastico della Nintendo è che se tu dai sempre al pubblico ciò che vuole alla fine non sarà più appassionato di quello che fai perché se lo aspetta. La Nintendo dà al pubblico ciò che il pubblico non sa di volere.
Oh, parliamo un po’ di videogiochi, a cosa stai giocando?
Playerunknown’s Battleground, mi piace da impazzire, perché è un gioco in cui a ogni partita si crea una storia diversa. Ti lanci su quest’isola piena di gente che si deve ammazzare con lo scopo di rimanere l’unico sopravvissuto e ogni volta succede qualcosa di diverso e ogni volta mi diverto, figurati che mi sono preso un computer apposta per giocarci, perché pur essendo divertente è ottimizzato così male che ci vuole un PC potentissimo per farlo girare, anche se la grafica è bassa.
Andare contro tutti ti piace, è una cosa che viene fuori dalle prime pagine de La Fine della Ragione
Sì quello è un discorso che parte da Asso, volevo che il fumetto fosse fruibile da tutti ma che anche che i lettori storici ritrovassero il filo della narrazione. Nel racconto c’è tantissima roba mia e di come sono. L’ironia che deve sempre sdrammatizzare il momento difficile e soprattutto la figura della madre.
Mi vuoi dire che La Fine della Ragione è un libro femminista?
Gran parte delle mie opere hanno o una figura femminile come protagonista o comunque centrale. Penso a tutte le donne di John Doe, alla Juric, a Juno a Sam che sono la chiave di Orfani. Penso a Marta La Brutta che si è rubata il ruolo centrale dentro YA. Penso a Mater Morbi e alla interpretazione di Morgana. La figura femminile e in particolare quella materna hanno un ruolo chiave per me. Ne La Fine della Ragione parte tutto da una madre che deve salvare un bambino malato dalla malattia e dalle cure omeopatiche che non funzionano, ecco scriviamolo bene che sono cazzate, ce lo dice pure Piero Angela. Questa madre deve cercare le cure “eretiche” ovvero quelle che oggi usiamo realmente per guarire. Il suo è un gesto di coraggio sovversivo. Sta tutto in quel proverbio “Dio non poteva essere dappertutto allora ha creato la madre“, ma anche il fatto che una madre, se è davvero una madre, al destino gli sputa in faccia. Una madre lotta in tutte le maniere.
Roberto Recchioni © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Anche una famosa madre aliena
Assolutamente sì! Nella saga di Alien Ripley e la regina aliena sono identiche, sono due madri che difendono i propri figli! Quando leggo quelle notizie di genitori che mettono a repentaglio la vita dei figli e che chiedono di non voler essere criminalizzati per le loro convinzioni mi verrebbe da ricordargli che la gente viene criminalizzata eccome per convinzioni e opinioni. In fondo ogni nazista aveva l’opinione che il nazismo fosse una buona idea. Le opinioni non sono tutte uguali, alcune sono cazzate, alcune sono crimini. La libertà di opinione ha dei confini precisi, se sei un nazista, se vuoi mettere a repentaglio la vita di tutti non hai solo una opinione. In teoria la ua opinione mi impedisce di averne una. Quando sento queste cose penso che siamo arrivati al punto in cui la questione non può più essere presa sottogamba come i terrapiattisti, quelli sono solo dei matti che non fanno male a nessuno. La questione no-vax ci tocca tutti. Se arrivi a negare la salute di tuo figlio per una opinione vuol dire che qualcosa è andato storto.
Quando ho scritto la recensione de La Fine della Ragione qualcuno aveva paura che te la prendessi, spesso appari acido o intrattabile, però dall’altra parte un sacco di gente poi dice “ma in effetti non è così“. Qual è il Roberto vero?
Quello che dico sempre è che nel mondo reale non capita mai qualcuno che mi dia dello stronzo in mezzo a una conferenza o a una intervista. Nel mondo reale se dai gentilezza di solito ricevi gentilezza. Su internet capita che arrivi uno e ti dia dello stronzo, quindi è normale rispondere in maniera dura. Non è difficile essere gentili nel mondo reale, ci atteniamo a un minimo di intelligenza sociale. Le mie sono reazioni a comportamenti incivili. Spesso quando mi leggono avvertono un certo tono che solo loro percepiscono come aggressivo. Il problema vero è chiedersi se veramente useremmo questi toni con una persona reale, probabilmente no.
Invece le bacheche diventano tipo la carta moschicida dei vaffanculo
Quello che non capisco di chi viene sulla mia bacheca a insultare, cose che io non faccio mai, è: che cosa te lo fa fare? Pensi di avermele cantate? Come quelli che vanno sulla bacheca di Salvini o altri politici a insultarli, ma perché? Credete davvero che Salvini legga quei commenti e si dispiaccia? Dimostri solo che lui è Salvini, gli dai autorevolezza e perdi in automatico. Io sono molto aperto al dialogo e al confronto, è difficile che mi offenda realmente, a meno che le critiche non siano figlie di una disonestà intellettuale. In quel caso divento molto ostile però per esempio quando mi danno del bullo io non posso che concordare, c’ho fatto una lunghissima trattazione sull’epica dei bulli.
Forse è quello anche che dà fastidio?
Però quella è una questione d’intelligenza. Se io dico che sono un bullo, ti pare che se lo fossi realmente lo scriverei? Ti pare che non c’è un filtro critico e autoironico nel definirsi così? Un po’ di tempo fa avevo fatto un pezzo intitolato “I bulli non vanno in paradiso” in cui mi immaginavo di morire e di non andare in paradiso perché avevo fatto il bullo al liceo. Mi pare già una presa di coscienza palese, però non basta. Sui social sei bravo se dici di esserlo. Se dici di essere contro il bullismo ti becchi gli applausi, se dici in maniera ironica che eri una merda al liceo, pensano che tu stia facendo apologia del bullismo.
Però dai, la polemica ti piace, ti cerca e la cerchi
Il mio problema è che conosco il mondo attraverso la provocazione. Misuro le persone dal modo in cui reagiscono alle provocazioni, capisco l’intelligenza e l’ironia. Spingo le persone e da ciò che torna io capisco come sono. Lo so, è un modo strano per conoscere il mondo, ma purtroppo funziono così.
D’altronde internet ha formato generazioni di personalità bellicose e ne formerà sempre di più
Sempre di più, purtroppo litigano male, senza intelligenza né stile. Non è che ci voglia una gran scienza a mandare affanculo qualcuno, invece costruire una bella frase che alla fine significa vaffanculo e quasi ti ringraziano è molto più soddisfacente. Il primo internet, prima degli smartphone è stato una bella palestra. Un po’ per la fantomatica netiquette, un po’ perché eravamo tutti pionieri di newsgroup, BBS e forum. Quelli che stanno su internet da tanto hanno strumenti migliori del cinquantenne che s’è trovato internet in tasca. Oggi per fortuna è sempre più raro vedere qualcuno che scrive tutto maiuscolo. Vuol dire che la gente piano piano sta capendo. Quelli però erano passaggi che noi abbiamo fatto prima.
Paradossalmente su internet quelli vecchi siamo noi, non i cinquantenni
Sì! La cosa interessante è vedere come a poco a poco, e questo mi fa ben sperare, tutti acquisiscono una base comune su come si sta al mondo su internet. Con calma. Però vedi ancora gente tipo quello che ha postato la foto della Boldrini con la testa mozzata e che non capiva minimamente la gravità del suo gesto, neppure di fronte ai carabinieri. Che gli dici a uno così?
Ma nonostante la tua indole polemica non avverti ogni tanto il peso di tutto questo? Le persone che ti rompono le scatole per Dylan Dog, quelli che ti tirano per la giacchetta, quelli che cercano di farti le scarpe, i troll, gli hater… non ti pesa?
Il peso è enorme, è sempre di più ed è sempre più difficile portarlo. Non mi posso lamentare ovviamente, perché è una bici che ho voluto io, quindi pedalo. Ma ci sono giorni in cui la summa di tutto quello che è la vita pubblica mi pesa tantissimo.
E come ne esci?
Non ne esco. Ma penso sempre che Fedez la vive peggio.