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Accadde domani

Conoscere in anticipo il futuro? È solo una questione di dati. Il fisico Alessandro Vespignani ci ha spiegato come.

di Egle Damini

Alessandro Vespignani è uno scienziato delle previsioni, uno dei maggiori a livello mondiale. Nato a Roma, classe 1965, laureato in Fisica riceve una proposta di dottorato a Yale alla quale non è sicuro di rispondere. Risponde, e così rimane negli Stati Uniti: oggi fa ricerca e insegna Fisica e Informatica alla Northeastern University di Boston, dove dirige il Network Science Institute.

Ma cosa fa di preciso Vespignani?

In estrema sintesi studia il modo per compiere previsioni in maniera scientifica basandosi sui dati che produciamo quotidianamente. Dai prelievi di denaro ai pagamenti digitali, a ogni attività che svolgiamo tramite il nostro smartphone, al GPS in auto, sono infinite le tracce che lasciamo ogni giorno. Studiarle in larga scala è la strada per prevedere il futuro.

Non è eccessiva come promessa, anche perché Vespignani l’ha già mantenuta: per esempio anticipando la diffusione del virus Ebola con mesi di anticipo. Ha raccontato studi e prospettive del suo lavoro nel volume L’algoritmo e l’oracolo, da poco in libreria per il Saggiatore.

“Scienziato delle previsioni”: non è un po’ un ossimoro?
La scienza nasce dall’ossessione del futuro, e noi scienziati abbiamo un po’ tutti l’ossessione del controllo.

Forse un po’ tutti gli uomini
Ma noi scienziati ancora di più. Perché è la voglia di capire e ingabbiare attraverso regole e formule matematiche: è il desiderio di portare il futuro all’interno di qualcosa che sia normato e prevedibile. Nel campo delle scienze naturali questo metodo ha avuto infiniti successi, mentre la previsione all’interno delle scienze umane è diversa, ma è qualcosa che volevamo comunque avere sotto controllo.

 

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Alessandro Vespignani © Gabriella Corrado / LUZ

 

Così nasce il “moderno indovino”
Uno è abituato a pensare allo scienziato come una persona seria e rigorosa mentre all’indovino come un ciarlatano. In realtà quello che facciamo come scienziati è diventare degli indovini rigorosi: facendo previsioni che si basano sulla scienza e che quindi sono vere. In questo senso allora lo scienziato diventa il vero indovino: cioè colui che può realmente prevedere il futuro. Gli altri indovini invece continuano a fare i ciarlatani.

Come ci si riesce?
La cosa importante che bisogna capire è quali sono i poteri di questi indovini e quali sono i loro limiti, altrimenti si rischia di ricercare ancora qualcosa di magico. Il termine “scienziato indovino” nasce proprio per togliere il magico all’indovino e far capire che la previsione del futuro è qualcosa che si può realizzare sotto certe condizioni, con dei limiti ben definiti e attraverso delle metodologie e delle tecniche che vanno discusse e anche sviluppate. Affermare che siamo in grado di prevedere qualunque cosa sarebbe bambinesco. 

Qual è il limite più grande?
Quando facciamo le previsioni della prossima tempesta tropicale per esempio, lei se ne infischia dei nostri calcoli e fa quello che deve fare. Noi siamo il limite più grande. Nel momento in cui io faccio le previsioni della traiettoria di una epidemia e queste previsioni vengono esposte al pubblico il pubblico ha una reazione.

 

Se io ti dico che domani a Milano ci sarà una epidemia di Ebola è molto probabile che tu te ne vada oppure che tu non esca di casa, e questo vuol dire che con le previsioni sei in grado di cambiare la società.

 

Tutte quelle equazioni e quell’apparato di dati che abbiamo usato per fare le previsioni cambia improvvisamente poi perché la previsione è un elemento stesso del sistema, cosa che non era precedentemente.

Com’era prima?
Prima era osservare il sistema da fuori e fare delle previsioni. Invece oggi quello che abbiamo è un qualche cosa che è all’interno del meccanismo: per cui io faccio delle previsioni e queste previsioni cambiano loro stesse il futuro e il nostro comportamento. Questo è un problema. Perché spesso le inesattezze vengono scambiate per errori o per incompetenza: “Ha sbagliato, non è vero, non ci capiscono nulla”. 

 

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Alessandro Vespignani © Gabriella Corrado / LUZ

 

Torniamo ai limiti
Un altro limite è quello dei dati: se noi assumiamo che esiste questo circolo di previsione e cambio del comportamento e vogliamo diventare sempre più precisi e accurati, dobbiamo avere dati istantanei. Ci serve un ciclo continuo che venga masticato dai computer, in modo da aggiornare le previsioni in maniera quasi immediata: questo attualmente non c’è ed è un grande limite. 

Ce ne sono altri?
Sì, se ci addentriamo nella sfera più filosofica degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Quanto realmente i computer possono diventare oggetti in grado di pensare e prevedere indipendentemente da noi?

 

Quanto realmente siamo prevedibili noi uomini?

Lo siamo così tanto?
Tantissimo. Pensiamo sempre di essere speciali, ma in realtà facciamo un’enorme quantità di cose basandoci su decisioni del nostro cervello che sono quasi algoritmiche, o basate su quello che fanno i nostri quattro migliori amici.

 

Però anche queste previsioni si possono “rompere” e quindi dobbiamo capire fin dove possiamo spingerci. 

L’intelligenza artificiale aiuta nelle previsioni?
Sì, ma non è l’unico metodo e bisogna stare molto attenti. L’intelligenza artificiale non è una reale intelligenza e questa nostra predisposizione a vederla come un’intelligenza può essere pericolosa. Perché non ci aiuta a capire che in realtà non è altro che un riflesso di quello che siamo noi, compresi i nostri pregiudizi e la nostra convinzione che il passato si rifletterà di nuovo nel futuro.

Quando è nata e come è cambiata la scienza delle previsioni?
Con l’uomo, perché nasce da un bisogno umano: quello di controllare ciò che viene da fuori. Dai Babilonesi che si sono messi a studiare il corso delle stelle fino all’ideazione del metodo scientifico, o quando si inizia a parlare di fisica vera, e poi con l’arrivo delle scienze naturali. Sono momenti importanti perché ci danno l’idea che possiamo fare delle previsioni realistiche. 

 

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Alessandro Vespignani © Gabriella Corrado / LUZ

 

E la svolta?
Arriva alla fine degli anni ’90 e apre un mondo nuovo. Nelle scienze sociali c’era l’idea che l’uomo fosse imprevedibile e che non si potesse ingabbiare in equazioni e calcoli, ma alla fine degli anni ’90 questa idea comincia a vacillare. Si apre uno spiraglio e si comincia a pensare che forse una fisica dei sistemi sociali può essere fatta. 

Grazie alla quantità di dati che produciamo dalla fine degli anni ’90
Abbiamo messo le nostre vite all’interno di dati che per la prima volta hanno permesso di prendere tutti quei modelli e quelle idee che sembravano concettuali e teoriche per trasformarle in strumenti predittivi.

 

Con il nuovo millennio cos’è cambiato?
Comincia qualcosa di davvero dirompente, associato alla nascita della telefonia digitale: i cellulari parlano di noi. Spesso la gente non se ne rende conto, ma questi strumenti fanno sì che quotidianamente noi giriamo con qualcosa che ci traccia, ci mappa e ci quantifica. 

 

Quello che fino ad allora mancava nelle scienze sociali
Sì, fare un esperimento significava fare questionari, seguire per tre anni gruppi di persone con degli sforzi infiniti e da lì estrarre delle considerazioni era difficile. Oggi no. In questo momento se vogliamo ripianificare la mobilità di una grande città è possibile farlo guardando quello che fanno tutti i giorni le persone, accedendo alle tracce della telefonia cellulare. 

I social media hanno un ruolo?
Hanno cominciato un’altra rivoluzione.

 

Con l’avvento di Facebook, Twitter e Instagram per la prima volta nella storia al mondo scientifico si è aperta su grande scala un’opportunità che è non solo quella di guardare dove le persone vanno, cosa fanno, cosa consumano e cosa leggono. I social media hanno permesso di vedere che cosa pensano.

 

In un tweet di 240 caratteri in realtà puoi leggere di tutto, chi lo scrive dà un termometro del suo pensiero. Questa cosa permette di guardare dentro le persone e di “aprirle” in una maniera che è assolutamente senza precedenti. Quando milioni di persone agiscono sulle piattaforme non è più un lavoro di interpretazione psicologica dell’individuo, ma diventa una comprensione della società come aggregato. Questa è una rivoluzione di cui non abbiamo ancora pienamente preso coscienza.

Nei prossimi dieci anni che cosa ci aspetta?
La rivoluzione dei microsensori. Un passaggio che porterà a scoprire un altro pezzo di noi: la nostra biologia. Nell’arco di quattro, cinque anni cominceremo a spiegare la biologia di ogni singolo individuo. Negli Stati Uniti ci sono già queste nuove generazioni di device, delle dimensioni di un anello, che oltre a contare i battiti cardiaci misurano anche il livello di zuccheri nel sangue e una serie di altri parametri. Ora questi dispositivi ci sembrano assurdi, ma li indosseremo tutti. E questo aprirà nuove possibilità di previsione, sempre più precise.

 

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Alessandro Vespignani © Gabriella Corrado / LUZ

 

Per esempio?
Per tanti anni mi è stato chiesto se le mie previsioni sulla diffusione dell’influenza fossero valide per il singolo individuo. Io ho sempre risposto di no, che noi facciamo previsioni sull’impatto del virus su una popolazione e al massimo potevamo scendere fino al raggio di cinque km. Oggi se mi chiedi se sia possibile la previsione a livello di singolo individuo ti rispondo che tra quattro o cinque anni potremmo dire con assoluta certezza qual è il rischio di una persona, se per esempio va in un determinato cinema, di prendersi l’influenza o no. 

Quali sono le conseguenze di previsioni così precise?
Scherzando, un mio collega ha detto che si svilupperà un servizio on demand per cui se io mando mia figlia a scuola oggi so che si ammalerà al 100%, così prenoto le vacanze di conseguenza.

 

Il suo lavoro influenza la sua quotidianità?
Quando cominci ad avere la sensazione di poter prevedere, hai sempre di più voglia di farlo.

 

Con i miei colleghi abbiamo fatto la previsione del vincitore di American Idol, ovviamente era un gioco ma lo abbiamo impostato come un esperimento scientifico. Ci è venuto in mente perché sui giornali leggevamo titoli del tipo: “Chi vincerà la prossima puntata?”: noi potevamo risponderci da soli senza aspettare l’uscita del nuovo titolo.

Ma così non finisce il divertimento?
Decisamente! Infatti poi ci siamo chiesti perché lo avessimo fatto e se era proprio necessario applicarci così e, di fatto, perdere il divertimento. Il fatto è che ogni volta che vai a vedere e provi a scoprire quello che c’è dopo ti accorgi delle potenzialità di questi sistemi. 

 

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Alessandro Vespignani © Gabriella Corrado / LUZ

 

Però come ci si sente a conoscere il futuro prima degli altri?
Un mio collega una volta mi ha detto: “Questa sensazione di sapere prima degli altri il futuro è come un’ebrezza enorme. Un qualcosa che ti fa sentire oltre”.

Come cambierebbe la sua vita se potesse prevedere qualcosa nell’immediato?
Mi immagino spesso una vita dove ho tutto sotto controllo. C’è stato un periodo iniziale in cui ero pieno di entusiasmo, ma oggi ho capito come questo approccio possa generare delle conseguenze non per forza positive.

Ucciderebbe del tutto la spontaneità?
Certo, prova a pensare: un domani sarà disponibile un programma che mi dice che se vado in un determinato cinema mi prendo al 100% l’influenza, allora non ci vado. Ma potrei essermi perso l’occasione della vita di vedere quel film o di incontrare una persona fondamentale per il lavoro che sogno. Rischio di perdermi dei pezzi di vita: come decido? Qual è il peso che devo usare in queste decisioni?

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